Un jeans strappato giustifica le molestie: le donne indiane protestano contro la cultura sessista
Ancora si continua a parlare dell’abbigliamento femminile come della causa scatenante di certe aggressioni, come se indossare una minigonna o un paio di jeans attillati giustificasse le molestie, le legittimasse. La vittima deve così subire l’ulteriore umiliazione di vedersi incriminata: quella che in qualche modo “se l’è cercata” a causa di ciò che aveva o non aveva addosso. Ma le donne sono stanche di essere giudicate per come si vestono e questa cultura sessista è profondamente radicata. La realtà indiana è una delle più restrittive nei confronti delle donne, le cui libertà sono limitate anche sul fronte del vestiario. Lo dimostra l’ennesima uscita infelice, fatta tra l’altro da un politico di spicco, dunque un uomo di potere le cui parole hanno un peso e una notevole risonanza mediatica. Tirath Singh Rawat, nuovo primo ministro dello stato dell’Uttarakhand (India settentrionale) ha commentato in modo molto duro la scelta di indossare dei jeans strappati, che sono diventati per lui una sorta di simbolo della perdita di decoro della civiltà contemporanea.
Le donne si difendono al grido #rippedjeans
Il primo ministro Tirath Singh Rawat (membro del partito conservatore) a inizio settimana ha incolpato i jeans strappati di tutti i problemi che affliggono oggi le nuove generazioni. Parlando durante un seminario organizzato dalla Commissione statale per la protezione dei diritti dell'infanzia, Rawat ha criticato una donna incontrata mentre era in aereo, la responsabile di una ONG. L’anonima in questione viaggiava con due minori e indossava i famigerati jeans strappati sulle ginocchia. L’uomo ha messo in dubbio le sue capacità genitoriali, le sua abilità nel tramandare dei valori sani dicendo: "Gestisci una ONG, indossi jeans strappati alle ginocchia, ti muovi nella società: ai bambini che sono con te quali valori insegnerai?". Il ministro ha rimproverato i genitori che consentono alle loro figlie di indossare quei capi immorali, invogliandoli a fare scelte più decorose invece di "incentivare la nudità". Questi commenti hanno suscitato molto scalpore e sono stati ripresi non solo dal mondo politico, ma anche dalle cittadine: le donne si sono sentite offese, e hanno lanciato su Twitter l’hashtag #rippedjeans.
In India le donne non possono indossare i jeans
In modo provocatorio la leader Priyanka Gandhi Vadra ha condiviso le fotografie di una serie di primi ministri in calzoncini corti, facendo capire che non c'è ragione per cui dovrebbe essere diverso per le donne. Il capo della Commissione per le donne di Delhi Swati Maliwal su Twitter ha apertamente accusato Rawat di fare propaganda misogina. E non è mancato chi ha invitato Rawat a preoccuparsi di questioni più importanti, dall’economia alla sicurezza all'ambiente. Sembra che nulla sia cambiato dal 2014, quando il noto e seguitissimo cantante indiano KJ Yesudas invitò le donne a non indossare i jeans in quanto contrari alla cultura indiana e possibile causa di comportamenti definiti "indesiderabili". E solo cinque anni fa l'allora ministro della Cultura Mahesh Sharma invitò i turisti in arrivo nel Paese ad adeguarsi e a non indossare gonne o vestiti. Quella delle restrizioni sull’abbigliamento in India è una realtà per tutte le donne, soprattutto nelle aree più rurali o nelle famiglie particolarmente legate ai dettami religiosi. Basti pensare che in alcuni villaggi l’uso del telefono cellulare così come quello dei jeans strappati è a loro vietato per legge.
La cultura sessista oggettivizza le donne
I jeans in India hanno conosciuto una rapida ascesa negli ultimi anni: i ragazzi e le ragazze li amano perché li collegano alle loro star del cuore, alle celebrità di Bollywood e li indossano nella quotidianità, quando possono. Il fatto che la politica detti legge alle donne su come vestirsi mostra quanto sia ancora in piedi un sistema sociale patriarcale, che all’innovazione oppone la tradizione ma solo a fini di controllo. I jeans vengono dall’Occidente e sono sbagliati: è un capo d'abbigliamento sconveniente e che incita in qualche modo alla nudità, a quei famosi comportamenti sbagliati. Ma non sono gli abiti succinti o i jeans strappati a causare né tantomeno a giustificare uno stupro: alla base c'è sempre una cultura malata che oggettivizza il corpo femminile e che lo ritiene merce di scambio su cui imporre il proprio potere e la propria forza. Quella stessa cultura che uomini come Tirath Singh Rawat portano avanti diffondendo misoginia, sessismo e maschilismo invece di promuovere la parità, l'uguaglianza e la sicurezza.