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The French Dispatch e lo stile inconfondibile di Wes Anderson, tra moda e interior design

Sarà nelle sale cinematografiche a luglio l’ultimo lavoro del regista texano, che è anche il più andersoniano di tutti, tra colori pastello e vestiti che fanno pendant con la scena. In attesa di vedere The French Dispatch, ripercorriamo lo stile inimitabile del cineasta, tra look e arredamento d’interni.
A cura di Beatrice Barbato
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Ci sono dipinti che a un primo sguardo sono perfettamente riconoscibili. Da Picasso a Rembrandt, da Dalì a Degas, e poi ancora Monet, Michelangelo, Giotto. È la bravura di un artista, in grado di entrare nella tela così profondamente da diventare tutt’uno con essa. Questa stessa appagante certezza si prova anche quando si ha a che fare con Wes Anderson. Basta una sola immagine, statica e senza sonoro, per capire che si tratta di lui e del suo genio artistico. È ciò che si pensa guardando il trailer di The French Dispatch, l’ultimo lavoro del regista texano, in uscita a luglio. A sei anni dal successo di Grand Budapest Hotel e a due da L’isola dei cani, torna sul grande schermo con quella che lui stesso ha definito una lettera d’amore per i giornalisti.

La pellicola segue il lavoro della redazione dell’omonima rivista e già dalla copertina è chiaro il riferimento al New Yorker, di cui Anderson è sempre stato un assiduo lettore. Il cast è un elenco smisurato di grandi nomi che sembra non finire mai: Timothée Chalamet, Frances McDormand, Jeff Goldblum, Elisabeth Moss, Léa Seydoux, Owen Wilson, Benicio del Toro, Adrien Brody, Willem Dafoe, per citarne alcuni. Immancabili al fianco del regista i collaboratori di sempre: il direttore della fotografia Robert Yeoman, il compositore della colonna sonora Alexandre Desplat, il montatore Andrew Weisblum e soprattutto Milena Canonero, la costumista quattro volte premio Oscar.

La magia dei costumi di Milena Canonero

Orgoglio tutto italiano, Milena Canonero ha dedicato la sua vita ai costumi. Da più di quarant'anni incanta Hollywood con la sua cura per i dettagli e uno stile definito iperrealista. Con cinque nomination agli Academy Awards, la Canonero ha fatto sognare l'Italia per ben quattro volte. Dopo aver ritirato la famosa statuetta per Barry Lyndon di Stanley Kubrick, per Momenti di gloria di Hugh Hudson e per Marie Antoinette di Sofia Coppola, è stata premiata proprio per il suo lavoro in Grand Budapest Hotel al fianco di Wes Anderson, un «compositore, conduttore e guida unica» per il film, come lei stessa lo ha definito. A ispirarle gli impeccabili abiti di scena è stata la pittura di Gustave Klimt, mentre per l'anziana milionaria interpretata da Tilda Swinton ha voluto rendere omaggio alla nota collezionista d'arte Peggy Guggenheim.

L'armocromia dei sentimenti di Wes Anderson

Toni pastello e colori più accesi sapientemente mescolati, location ricreate nei dettagli e look in tinta con la scenografia, sono questi i punti di forza di quasi tutti i racconti andersoniani, dove pop e vintage coesistono perfettamente senza fare a pugni tra di loro. Basti pensare al rosa baby che caratterizza gli incontri tra il lobby boy e Agatha al Grand Hotel,  al rosso intenso che prende il sopravvento in tutte le riunioni della famiglia Tenenbaum, o al color vimini di Moonrise Kingdom, una tonalità retrò per quei due ragazzini dagli atteggiamenti adulti. È l’armocromia dei sentimenti interpretata da Wes Anderson, con cui il regista vuole comunicare sensazioni e stati d’animo. E così quella forte enfatizzazione dei toni non va in contrasto con la perenne tristezza con cui convivono i suoi personaggi. Che sia forse un modo per combatterla, o un retaggio infantile, tutto è possibile.

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I colori sono i protagonisti indiscussi anche del trailer di The French Dispatch.  L'arancione di Tilda Swinton, simbolo di armonia ma anche di ambizione e fiducia in se stessi, è declinato in tutte le sue varietà. Il giallo tenue della camicia di Bill Murray, abbinato alle pareti della redazione, entra quasi in conflitto con la frenesia della redazione e del suo direttore. E poi ancora l’acquamarina del Chambres de Jeunes Filles dello stesso colore degli abiti in scena convive, senza stonare, con il bianco e nero di altre sequenze. Nulla è lasciato al caso e tutto è ton sur ton con l’ambiente, che diventa più reale di qualsiasi personaggio portato davanti alla telecamera. Sognatori, depressi, visionari e uomini concreti, sono i protagonisti di tutto l’universo da lui immaginato e che affonda le sue radici già in Bottle Rocket, il cortometraggio del 1994.

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Più che un semplice cineasta, Wes Anderson incarna l’ideale di creativo per eccellenza, un po’ architetto, un po’ stilista, un po’ interiore designer. Dalla nave Belafonte di Steve Zissou alla gigantesca casa di bambole abilmente gestita da Monsieur Gustave H., dalle divise viola del personale del Grand Hotel, agli inseparabili binocoli di Suzy in Moonrise Kingdom e le valigie Vuitton de Il treno per il Darjeeling.  Tutto è così nitido e sfocato al tempo stesso, a tal punto che lo spettatore, dopo aver vissuto in uno di quei mondi stravaganti, pensa a quanto poi sia credibile tutta quella ordinaria follia.

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