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Stéphanie Frappart, primo arbitro donna in Champions League: facciamo che non sia anche l’ultima

Stéphanie Frappart è la prima donna ad aver arbitrato una partita di Champions League: è scesa in campo per la sfida tra Juventus e Dinamo Kiev. L’Italia pur contando un buon numero di arbitre, non ha ancora mai dato spazio a una di loro in una competizione di serie A. Avremo mai la nostra Frappart?
A cura di Giusy Dente
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Fare da apripista richiede sempre una dose di coraggio e determinazione in più, rispetto a chi trova la strada in qualche modo spianata. Se oggi ancora c'è una certa perplessità per non dire sospetto nei confronti delle scelte controcorrente che alcune donne fanno, tra un tot numero di anni queste riserve spariranno: chi vorrà fare la scienziata non sarà strana, chi vorrà andare nello spazio non sarà pazza, chi preferirà un pallone al tutù non sarà un maschiaccio. E sarà merito delle scienziate, delle astronaute e delle calciatrici che si stanno facendo valere oggi e i cui nomi ancora fanno notizia, proprio perché così rari. Più che rari unici, come la prima donna arrivata ad arbitrare una partita di Champions League. La francese Stéphanie Frappart è stata la prima a presentarsi in campo col fischietto durante la massima competizione Uefa. Lei ai primati ci è abituata: nel 2014 prima donna a dirigere una partita della Ligue 2 (seconda divisione del campionato francese), nel 2019 prima donna a esordire in Ligue 1 (massimo livello professionistico del campionato francese). In merito al suo debutto il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora su Facebook ha scritto:

Non dovrebbe fare notizia, eppure la partita di stasera tra Juventus e Dinamo Kiev entrerà nella storia. Per la prima volta infatti, sarà una donna ad arbitrare una partita di Champions League: Stéphanie Frappart. Un passo alla volta anche lo sport contribuisce a superare le disparità e gli stereotipi di genere.

Il suo nome è nella storia perché è il primo, ma ciò che vogliamo è che non resti l'ultimo.

Il calcio adesso è anche donna

Giovannella Pantani nel lontano 1971 è stata l'apripista di cui sopra: il primo arbitro donna del movimento calcistico italiano. A 18 anni il corso per diventare arbitro sulle orme del padre Enzo (Presidente degli arbitri livornesi e toscani), poi le difficoltà in sede di esame dinanzi alla Commissione Regionale Arbitri, perché seppur ritenuta idonea la Federazione non ammetteva donne. Giovannella riuscì comunque ad arbitrare diverse gare, ma la sua attività durò appena poche stagioni: il mondo non era ancora pronto per una "arbitressa" (come titolò la Domenica del Corriere riferendosi a lei). A distanza di cinquant'anni come stanno le cose? La situazione si riassume in quanto accaduto nel 2019, quando un giornalista di nome Sergio Vessicchio durante una partita di Eccellenza Campana (Agropoli-Sant'Agnello) ancora si riferiva con tono sessista all'arbitraggio femminile di quell'occasione con la parola "schifo". Probabilmente in questo senso il nostro Paese è ancora piuttosto chiuso verso le donne che "osano" entrare in settori di esclusiva competenza dei maschi, come il calcio.

Chi sarà la Frappart italiana?

Attualmente ci sono oltre 1700 tesserate all'Aia (Associazione Arbitri Italiani): in termini di presenze femminili la nostra nazione è una delle prime su scala europea. Il tasto dolente sono le competizioni a loro affidate, in cui torna questa strana questione del dover volare basso. Ci sono tante arbitre in giro per l'Italia, tante in serie C e in D, ci sono tante assistenti: ma finora da noi nessuna donna ha mai arbitrato in serie A. E in effetti scorrendo gli elenchi delle commissioni designate per i campionati di livello superiore fa strano leggere una sfilza di Antonio, Marco e Paolo e nessun nome femminile, se non tra osservatori e assistenti. Ci sono comunque occhi puntati su diverse professioniste che potrebbero presto fare quel salto di livello: Maria Sole Ferrieri Caputi e Maria Marotta (entrambe nella lista internazionale della Fifa), Valentina Finzi, Stefania Menicucci. Si spera che presto una di loro abbia la possibilità di fare da apripista tra le arbitre italiane in una competizione di alto livello, sfatando il mito che non si sia portate per il calcio, che non si possa avere una preparazione adeguata e che non si possa persino essere migliori di un collega uomo. Perché l'unica distinzione da fare è tra arbitri competenti e non competenti.

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