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Regole sessiste e razziste per l’abbigliamento a scuola: la battaglia di una studentessa 13enne

Sophia Trevino pochi giorni fa ha cominciato la terza media, presso la Simpson Middle School in Georgia. Il primo giorno di scuola non è andato esattamente come lo aveva immaginato. È stata mandata dal preside perché accusata di aver violato il codice di abbigliamento dell’istituto: indossava dei jeans strappati. A suo dire si tratta di un dress code discriminatorio, che attraverso una petizione e delle proteste lei e altri studenti stanno cercando di cambiare.
A cura di Giusy Dente
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Il primo giorno di scuola è quel momento che ogni studente vive con un misto di ansia, paura e curiosità: tante cose da imparare e certamente delle difficoltà da affrontare. Chiunque ci tiene a dare una buona impressione, ad entrare in classe sentendosi a proprio agio per poter cominciare al meglio la nuova avventura, in modo sereno: anche l’abbigliamento gioca il suo ruolo. C'è chi sceglie qualcosa di sportivo, chi si sente meglio con qualcosa di formale addosso, chi non manca di aggiungere al look un dettaglio personalizzato. Insomma, ciascuno a proprio modo tende a raccontare qualcosa di sé anche attraverso i propri vestiti. Sophia Trevino, per esempio, dopo essersi consultata con le amiche e con i genitori, si è presentata in classe il primo giorno di scuola con delle scarpe da ginnastica, una maglietta bianca e un paio di jeans strappati sopra al ginocchio. Questa scelta, però, le è costata cara.

Sophia contro il dress code discriminatorio

Da quando è stata accusata di aver violato i codici di abbigliamento della propria scuola, la tredicenne Sophia Trevino porta avanti una personale battaglia contro certe regole discriminatorie che mettono in difficoltà le ragazze a scuola. La studentessa ha cominciato pochi giorni fa la terza media presso la Simpson Middle School nella contea di Cobb, in Georgia, ma il primo giorno non è andato esattamente come lo aveva immaginato. Per l’occasione ha meticolosamente scelto cosa indossare, dopo aver osservato attentamente i capi presenti nel suo armadio, optando poi per un paio di jeans approvati anche da amici e genitori. Ha invece ottenuto una netta critica da parte di un insegnante, a cui quegli strappi al di sopra del ginocchio non sono proprio andati giù. Un abbigliamento non consono, non appropriato al contesto scolastico secondo l’insegnante in questione, che si occupa proprio di far osservare agli scolari il codice di abbigliamento dell’istituto.

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Da allora, ogni venerdì, Sophia e altri studenti della Simpson Middle School si presentano a scuola indossando delle T-Shirt di protesta contro quel protocollo di abbigliamento così rigido e penalizzante, che non consente loro di esprimersi liberamente e di sentirsi a proprio agio. Lo hanno definito sessista, razzista e classista. Sophia ha detto che il problema principale è proprio l'idea che le ragazze siano responsabili delle azioni dei ragazzi, i quali non vengono assolutamente educati al rispetto del corpo altrui. "A scuola pensano che i ragazzi stiano tutti il tempo a sbavare sulle nostre spalle e sulle nostre cosce. Non è così. A loro non interessa. E anche se lo fanno, non è colpa nostra" ha detto. Lei e le altre ragazze non vogliono essere giudicate per ciò che indossano, non vogliono che sia la lunghezza di una gonna a determinare il loro valore e non vogliono vergognarsi del loro corpo. Per questo la 13enne ha anche lanciato una petizione su Change.org, che punta a cambiare le leggi della scuola in materia di abbigliamento, abbattendo le disuguaglianze e le discriminazioni.

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Secondo uno studio del 2020, presso le scuole pubbliche l'attenzione sull’abbigliamento è molto alta, ma è un tema affrontato in modo non paritario. C’è una costante sessualizzazione delle donne, il cui corpo diventa qualcosa da nascondere, coprire, perché eccessivamente provocatorio. Niente canottiere, niente camice, niente che possa attirare l’attenzione insomma, come se capi di abbigliamento come questi esistessero unicamente con lo scopo di far parlare di sé. C’è un occhio particolarmente critico soprattutto verso le ragazze nere, ‘colpevoli’ di avere un corpo particolarmente formoso e per questo punite più severamente se indossano determinati capi di abbigliamento.

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Questi codici mettono in imbarazzo le ragazze, che sperimentano precocemente un senso di vergogna nei confronti del loro corpo, percepito quasi come un ostacolo nel loro rendimento scolastico e nel loro stesso percorso di vita, crescita e formazione. Con le proteste del venerdì Sophia e le decine di studenti che si sono uniti a lei sperano di cambiare il codice di abbigliamento della scuola, rendendolo neutro rispetto al genere e realmente inclusivo, affinché non ci siano più sguardi di disapprovazione e accusa, ma solo rispetto e uguaglianza.

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