Ultimamente, da quando si è insediato il nuovo Governo non si sente parlare d’altro che di porti chiusi ad immigrati potenzialmente pericolosi, di episodi di razzismo, di violenza xenofoba, di intolleranza e discriminazione. Inevitabilmente tutto questo parlare del fenomeno, che è diventato principale appannaggio della politica e dell’informazione giornalistica, sta avendo un’influenza sull’opinione comune e l’argomento, e i conseguenti comportamenti di natura discriminatoria, stanno prendendo un’enorme spazio nei contesti più disparati; sui social in primis, ma anche in ambienti di vita quotidiana. Naturalmente la diffusione dell’argomento arriva alle orecchie dei più piccoli e come adulti e genitori abbiamo la necessità e il dovere di spiegare perché determinati atteggiamenti e comportamenti accadono sotto i nostri occhi.
Partiamo da un concetto fondamentale: i bambini sono parte della società in cui vivono, dunque si accorgono perfettamente ad esempio che qualcuno ha la pelle più scura o è vestito con abiti inusuali, solo che non guardano a queste differenze con odio, tutt’al più con curiosità. E' questa curiosità che dobbiamo rispettare e accogliere, spiegando con parole semplici e soprattutto offrendo loro risposte “nette” riguardo al perché, ad esempio, un uomo ha un colore diverso della pelle o perché una donna indossa un velo che copre il volto. Questo diventa molto più difficile quando assistiamo a episodi di discriminazione con l’aggravante razziale.
In questi ultimi mesi me ne sono capitati due e in entrambi i casi ero con mia figlia di 5 anni. Il primo in autobus dove c’erano un uomo e una donna di origine africana e alcune persone, parlando tra loro, con un tono che era impossibile non sentire, commentavano che sull’autobus vi fosse cattivo odore e che queste persone farebbero bene a tornare nel loro Paese di origine , perché ormai “basta, non se ne può più, ne sono troppi!”. Il secondo episodio, al parco giochi, due bambini, uno italiano e uno rumeno, litigavano per il turno sull’altalena, sono intervenuti gli adulti, i quali, piuttosto che aiutare i bambini a trovare un accordo, si sono entrambi schierati a favore del proprio figlio per poi concludere la discussione adducendo al litigio le differenze di cultura ed etnia, con frasi del tipo: “Pensate di venire nel nostro paese a dettare legge…” o ancora “Tu e tuo figlio siete due razzisti e non ci volete nel parco!”.
Credo che trasmettere a un bambino il principio che i conflitti e le divergenze possano essere spiegate e giustificate da un diverso colore della pelle o dall’etnia, sia molto, ma molto pericoloso. Questo significa non fargli sviluppare la capacità di critica e di giudizio, significa bloccare il processo di pensiero, significa, in altre parole, inculcargli il sentimento della paura. E la paura può essere molto pericolosa soprattutto quando è fondata sulla non conoscenza, o diciamocelo pure, sull’ignoranza.
Sicuramente potrebbe risultare arduo spiegare con parole semplici concetti come la diversità di religione o di etnia, usi, costumi e comportamenti diversi e/o lontani da ciò che siamo abituati a vedere, dunque l’unica strada può essere quella di informarsi, leggere, approfondire e poi parlare apertamente con i nostri figli, senza dare giudizi, ma semplicemente spiegando loro che le differenze e le diversità esistono, che sono il frutto della coesistenza di popoli diversi che vivono in diverse parti del mondo e che persone di diverse culture ed etnie possono incontrarsi e questo incontro è fonte di arricchimento. Solo in questo modo i bambini riusciranno a non guardare alle differenze con timore e soprattutto non utilizzeranno il pregiudizio per dare una spiegazione alle differenze.
Se è vero, come si diceva all’inizio, che quest’ultimo è davvero un periodo molto complesso e critico per il nostro Paese per quanto riguarda il tema del razzismo, della discriminazione e della xenofobia, d’altra parte questo ci dà l’opportunità di interrogarci e di sensibilizzare maggiormente i nostri figli sulla tematica, sottolineando il valore dell’inclusione e promuovendo la loro capacità di pensiero critico e il consolidarsi dell’empatia. Del resto come ci sentiremmo noi se fossimo quelle persone sull’autobus o quei due bambini al parco giochi? Ecco, solo in questo modo possiamo provare a fare la differenza educando i nostri figli alla cultura dell’accoglienza e dei sentimenti.