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Quando un piccolo difetto diventa un’ossessione: la dismorfofobia negli adolescenti

A volte un piccolo difetto può diventare centrale nella vita di una persona, soprattutto se si tratta di un adolescente, e rischiare di condizionarne la vita intera. Di come trattare la dismorfofobia, un disturbo ossessivo compulsivo, ne abbiamo parlato con la dottoressa Elena Micheli, psicologa e psicoterapeuta.
Intervista a Dott.ssa Elena Micheli
Psicologa e psicoterapeuta dell'Istituto Ipsico di Firenze
A cura di Francesca Parlato
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A 15 anni un brufolo, una gobba sul naso, un seno troppo piccolo possono sembrare dei difetti insostenibili. Il corpo cambia, gli adolescenti scoprono il loro nuovo aspetto, si guardano allo specchio e l'occhio punta lì, diritto sull'imperfezione (vera o presunta) e tutto il resto scompare, mangiato e dimenticato da un solo dettaglio. In alcuni casi questa che può sembrare una semplice fase o un peccato di vanità si tramuta nel disturbo dismorfofobico, conosciuto anche dismorfofobia. "Rientra tra i disturbi ossessivo compulsivi ed è caratterizzato dalla forte preoccupazione per un difetto fisico o un'imperfezione, non del tutto osservabile – ha spiegato a Fanpage.it la dottoressa Elena Micheli, psicologa e psicoterapeuta dell'Istituto Ipsico di Firenze – Solitamente si tratta di persone che soffrono di acne, che hanno cicatrici, o di giovani ossessionati per la muscolatura". 

I sintomi della dismorfofobia

Una piccola fissazione per un difetto del proprio corpo è assolutamente comune, capita a tutti. Diventa problematica quando si tramuta in una vera e propria mania, limitando e compromettendo la vita della persona che ne soffre: "Chi si trova a dover fare i conti con questo tipo di disturbo metterà in atto dei comportamenti ripetitivi come stuzzicarsi la pelle, cercare rassicurazioni, guardarsi continuamente allo specchio o fare paragoni mentali tra il suo aspetto e quello di altre persone. Fino a che questo difetto non condizionerà tutta la vita della persona, al punto che inizierà progressivamente a autoisolarsi, a chiudersi". Il disturbo dismorfofobico può colpire a tutte le età, ma sono gli adolescenti i soggetti più a rischio: "In adolescenza, con lo sviluppo del corpo e le tempeste ormonali, non è anomalo che sia una concentrazione eccessiva verso il proprio aspetto, ma se questa polarizzazione non viene superata con il passare del tempo, vuol dire che siamo in presenza di un disturbo a tutti gli effetti".

Quando chiedere aiuto

Solitamente la dismorfofobia è associata anche ad altri tipi di disturbi, come ansia sociale o depressione, e chi arriva da uno psicologo spesso non crede neanche di soffrirne: "Di solito il paziente decide di andare dallo psicologo perché si rende conto che il proprio difetto fisico, nonostante i tentativi di correggerlo (spesso anche chirurgici nonostante la giovane età) è diventato il centro della sua vita". Un grosso contributo nello sviluppo di questo tipo di disturbo proviene oggi dai social media, ma anche il comportamento di genitori o familiari stretti ha un peso significativo: "Il modo in cui queste figure di attaccamento si approcciano all'immagine corporea sia personale, che del figlio, può causare lo sviluppo di questo disturbo". Il perfezionismo, ad esempio, è un tratto tipico di chi soffre di dismorfofobia: "È una rigidità cognitiva che ritroviamo in quasi tutti i pazienti". Prima di iniziare una terapia, quello che un genitore può fare quando vede il proprio figlio troppo concentrato su un solo difetto fisico, oltre a evitare di sminuirlo, è provare semplicemente a parlarne. La comunicazione è infatti in grado di scongiurare il cristallizzarsi di certe modalità come l'isolamento e la vergogna. In alcuni casi invece può essere fondamentale farsi aiutare da un esperto attraverso una terapia che si baserà non sull'accettazione del difetto fisico ma sulla sua interpretazione: "Nella terapia cognitivo comportamentale si utilizzano tecniche che porteranno il paziente a valutare quali sono le ipotesi alternative rispetto alla genesi della sofferenza – chiarisce la psicologa – Si propone di ragionare sul fatto che non è la forma del naso o la cicatrice a generare l'infelicità ma come si interpreta tutto questo. E si cerca anche di correggere il bias, l'errore attentivo: questi pazienti solitamente non osservano mai la figura intera, il contesto, ma si focalizzano su un solo dettaglio, quasi sempre un difetto". Il percorso psicoterapeutico prevede anche una spinta alla consapevolezza e alla riflessività: "Si lavora con la mindfulness e con la terapia dell'accettazione. Un tipo di terapia che si basa sulla gestione del processo emotivo. Non confuta il pensiero ma aiuta a prenderne le distanze, in modo da lasciarlo scorrere. Ci si allena a defondersi e a non giudicare tutte le espressioni di sofferenza".

Social e body shaming

Scorriamo la home di qualsiasi social a cui siamo iscritti: foto perfette, corpi perfetti, nasi diritti, sorrisi smaglianti. I social network sono il posto dove chiunque rischia di sentirsi non all'altezza, soprattutto se si soffre di dismorfofobia: "Il bello viene sempre associato al successo, è inteso come un valore personale. E in questo senso i social, alimentando un'immagine di perfezione, di bellezza assoluta e impeccabile non aiutano". Negli ultimi anni anche per combattere disturbi come questo, per provare a mettere un freno al bullismo che si nutre delle insicurezze dei più deboli, si sono avviate tante azioni proprio contro il body shaming: "Alcuni dicono che questo tipo di campagne non è funzionale perché in qualche modo mette comunque al centro il corpo – sottolinea la psicologa – Io credo invece che siano importanti per creare quel senso di comunanza, aiutare i ragazzi a sentirsi meno soli e a vergognarsi di meno dei propri difetti e della sofferenza che provano. E limitano l'ostracismo, l'isolamento sociale che è la peggiore conseguenza di un disturbo come quello dismorfofobico".  

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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