Presidentessa Associazione Millemé: “Il tempo giusto per decidere di denunciare uno stupro non esiste”
"Il giorno dopo sono andata a scuola". "Il giorno dopo sono andata al cinema con le mie amiche". "Il giorno dopo ho preso 30 a un esame importante". Sono alcune delle risposte arrivate in seguito all'invito lanciato da Eva Del Canto su Instagram che con il suo appello ha chiesto alle donne vittime di violenza di raccontare cosa avessero fatto il giorno dopo lo stupro. Abbiamo visto Beppe Grillo urlare in un video l'innocenza del figlio (indagato insieme a tre suoi amici di violenza sessuale di gruppo) indicando come motivazione il fatto che la vittima il pomeriggio dello stupro abbia deciso di fare kitesurf, di andare al mare, e di aver atteso, a suo dire, un tempo troppo lungo, ben 8 giorni, prima di sporgere denuncia.
"Perché una persona che viene stuprata la mattina, al pomeriggio va in kitesurf, e dopo 8 giorni fa una denuncia, vi è sembrato strano. È strano"
"Quando subiamo un evento traumatico possiamo reagire in modi diversi – spiega Erica Pugliese, psicologa, psicoterapeuta, presidente dell'Associazione Millemé – Uno di questi, forse il più comune, è fingere che non sia accaduto niente. La vittima si dissocia da sé stessa e rimuove quello che è accaduto". Per questo a volte passano giorni, mesi e in alcuni casi addirittura anni prima che una vittima decida di denunciare. Ci si ributta nella vita normale, come se non fosse mai successo, si fa surf, si va al mare, si fa l'esame all'università, si va a cena fuori con le amiche. Tutto questo, a dispetto di quanto dice Grillo, non è affatto strano. "Lo dimostra proprio la letteratura scientifica. Nella maggior parte dei casi ci vuole del tempo per elaborare e capire quello che è accaduto. Poi piano piano riaffiorano le sensazioni sgradevoli, arrivano come dei flashback nella mente, il dolore diventa insopportabile e presenta il conto". Ed è in quel momento che la vittima, la survivor, può aprirsi con un'amica, un genitore, una persona nella quale spera di trovare comprensione. "Realizza che l'esperienza subita è stata un abuso e rompe il muro del silenzio".
La vittimizzazione secondaria
Il video di Grillo è un esempio di vittimizzazione secondaria. "A rendere difficoltosa una denuncia di una violenza è anche il contesto culturale in cui viviamo. Quello che vede le donne come provocatrici e in qualche modo sempre responsabili del comportamento degli uomini. Con quel suo video Grillo ha colpevolizzato la vittima. Ha delegittimato il suo diritto a dire di no a un rapporto sessuale e il suo diritto a denunciare". Parlare di una violenza subita non è mai facile, le donne hanno difficoltà a denunciare qualcuno in cui avevano riposto fiducia, hanno paura di sentirsi dire che se la sono cercata, che sono state loro ad aver provocato la violenza, in alcuni casi sono anche minacciate dal loro stupratore. "Grillo con le sue parole ha danneggiato la ragazza di cui ha parlato e tutte le ragazze e le donne che hanno subito violenza e che stavano convincendosi a denunciare". La maggior parte delle vittime si sente in colpa per quello che le è successo ed è proprio questo stato d'animo a fare da deterrente a una denuncia. Lanciare un messaggio come questo (da un canale social seguito da quasi due milioni di persone) rischia di far sentire le donne senza alcuna protezione, non al sicuro in caso di violenza. "Per questo è importante ribadire che non è importante il numero di giorni per denunciare, non esiste un tempo giusto. Il tempo della consapevolezza, dell'elaborazione è sempre discrezionale". È finito il tempo di colpevolizzare le donne, di sminuire il loro dolore, di renderle due volte vittime. "Boys will be boys" (i ragazzi fanno cose da ragazzi) non è più una scusa valida.