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Pochi asili nido e aziende che considerano la maternità un peso: così si fanno sempre meno figli

In Italia i neo genitori tendono ad affidarsi all’aiuto delle famiglie per due motivi: la mancanza di strutture e un retaggio culturale che considera negativamente il fatto che non siano mamme e nonne ad occuparsi in prima persona dei figli. La demografa Alessandra De Rose: “La decisione di fare i figli spetta alle coppie, ma devono sapere di poter contare su servizi e aiuti”.
Intervista a Prof.ssa Alessandra De Rose
Alessandra De Rose, ordinario di Demografia all'Università Sapienza di Roma
A cura di Beatrice Manca
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Famiglie lontane, lavori a tempo pieno e pochissimo supporto dal sistema di welfare. Così, conciliare figli e lavoro diventa quasi impossibile, come sanno bene molte mamme. La soluzione ci sarebbe: affidare i bimbi a un asilo nido. Ma in Italia queste strutture sono ancora troppo poche e non riescono a assimilare la domanda. Chi può allora si rivolge a nonni e zii, ma non sempre si può. E così le difficoltà per chi vuole avere un figlio crescono a dismisura, come ha spiegato a Fanpage.it la professoressa Alessandra De Rose, ordinario di Demografia all'Università Sapienza di Roma. “Quella della mancanza di asili nido è una questione fondamentale: ogni coppia poi decide se fare figli o meno, ma deve sapere di poter contare su una rete di servizi, aiuti economici, un sistema di protezione sul luogo di lavoro”.

In Italia si fa molto affidamento sulle famiglie

In Italia il primo aiuto per chi mette su famiglia spesso viene dai genitori o dai parenti, anche se oggi la pandemia ha reso molto più difficile incontri e spostamenti. “L’Italia rispetto ad altri Paesi ha sempre fatto più riferimento alla rete di supporto privato che a quella pubblica – spiega la professoressa De Rose – Fino a poco tempo fa avevamo una folta disponibilità di nonne, perché per la maggior parte delle donne non lavorava". Ma con il tempo questo aspetto è cambiato. "Le donne che diventano nonne ora appartengono a una generazione che lavorava e continua a lavorare, quindi la loro disponibilità viene meno". Questa rete viene molto utilizzata per due motivi: il primo è culturale, il secondo riguarda la mancanza di strutture. “C’è ancora l’idea che la famiglia sia in qualche modo migliore, più ‘adatta’ rispetto all’asilo nido”. Lasciare il bambino all’asilo nido viene ancora considerato come una colpa, una cosa "da pessime madri" o da "egoiste".

"Gli asili nido riescono ad accogliere solo il 24% dei bambini"

Oggi però per necessità o per una diversa mentalità, le cose stanno cambiando. Le generazioni più giovani si sono spostate molto per motivi di studio o di lavoro e hanno costruito famiglie lontano dalla città di origine. Tuttavia in Italia mancano le strutture: “L’offerta di servizi non si è adeguata al cambiamento. Oggi gli asili nido pubblici e privati, complessivamente, riescono ad accogliere il 24,7% dei bambini tra zero e due anni”. Tra gli impegni del Family Act promosso dalla ministra Elena Bonetti c’è anche l’impegno ad aumentare l’offerta, recuperando edifici dismessi.

La cura dei figli riguarda anche i padri

Certo, la questione non riguarda solo le donne. Sono le donne a dover portare avanti la gravidanza, ma poi la cura dei bambini è un compito che spetta a entrambi i genitori. Su questo, i giovani padri sono molto più attenti dei loro genitori e danno meno scontato che sia una questione "femminile". Oltre al congedo parentale per la malattia dei figli, in Italia esiste un congedo di paternità obbligatorio fino a 7 giorni, anche se la raccomandazione dell’Europa è di arrivare a dieci. “I rapporti di genere stanno cambiando, specialmente tra i più giovani, e questo aiuta molto – spiega la docente – Ma in questo cambiamento culturale bisogna che il mondo produttivo ci segua: gli uomini lo prendono poco anche perché sono spaventati dalle ripercussioni sul lavoro".

"L'assegno unico aiuta, ma serve un cambiamento culturale"

Martedì 30 marzo il Senato ha approvato in via definitiva l’assegno unico, un provvedimento contenuto nel Family Act che prevede un assegno per ogni figlio dal settimo mese di gravidanza fino al compimento dei 21 anni di età. “Questa misura può essere una risposta – commenta la professoressa De Rose – non tanto sulla cifra (al massimo 250 euro, ndr) ma sulla continuità, perché arrivano fino ai 18 anni e oltre e quindi dà un po’ di respiro alla famiglia, dà una piccola prospettiva sul lungo periodo”.

Le aziende troppo spesso vedono la maternità come un peso

Un altro grande problema è la cultura aziendale che troppo spesso vede la maternità delle dipendenti come un fardello: “Un conto è lavorare nel pubblico, un conto nel privato, dove c'è troppa precarietà", sottolinea la professoressa De Rose, precisando che il caso italiano è molto diverso dal resto d'Europa. "Nei Paesi scandinavi ad esempio, c’è molto più rispetto delle persone e dei loro bisogni e la maternità viene valorizzata, non penalizzata”. Il punto, secondo la professoressa De Rose, è innescare un cambiamento culturale e far ritrovare ai giovani la fiducia nel futuro e nelle istituzioni: una condizione necessaria per pensare di mettere al mondo un figlio. "Le coppie devono pensare che non si è lasciati soli all’arrivo di un figlio, ma la collettività se ne fa carico”.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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