Perché nelle zone rosse chiudono i centri estetici ma lavorano i parrucchieri?
All'indomani della firma di Giuseppe Conte sul nuovo Dpcm, resta un dubbio in merito a uno dei provvedimenti adottati nelle zone rosse. Queste aree sono quelle caratterizzate da uno scenario preoccupante dal punto di vista dei contagi, che rischiano di far collassare le strutture sanitarie. Per correre ai ripari si è deciso quindi di adottare misure particolarmente restrittive rispetto ad altre regioni del Paese, compresa la chiusura di alcune attività commerciali. Una delle poche modifiche apportate alla bozza del Dpcm, rispetto alla versione definitiva, è stata quella riguardante i servizi alla persona. Sembrava che sia parrucchieri che estetisti dovessero chiudere nelle zone rosse, poi invece il Governo ha deciso di "salvare" soltanto i primi, obbligando comunque i secondi a chiudere fino al 3 dicembre. Resteranno invece aperti entrambi nelle zone arancioni e gialle. Quindi mentre i parrucchieri possono continuare a lavorare è stato imposto ai centri estetici di abbassare la serranda. Perché questa scelta? Per sciogliere il dubbio abbiamo posto la domanda a Stefano Binda, segretario regionale della Lombardia di CNA (Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa) e Giordano Lizzola, responsabile in Lombardia della filiera estetica-benessere.
Leggendo il Dpcm del 3 novembre emerge un'anomalia: parrucchieri e barbieri potranno continuare la loro attività mentre è stato imposto lo stop ai centri estetici. Come mai questa differenziazione?
S.B.: Non è nota né a me né a persone vicine ai luoghi della produzione normativa "del Palazzo" la ragione di questa distinzione, se non una possibile analogia con quanto fatto dalla Germania. Il Governo ha parlato spesso negli ultimi giorni di un'ispirazione tedesca della propria azione, può darsi che venga da lì questa distinzione. Oggettivamente non c'è nessuna ratio nella distinzione che il Dpcm ha introdotto nelle zone rosse tra parrucchieri e filiera dell'estetica. Ci sono un po' di buoni argomenti per sostenere che non c'è alcuna razionalità. Questa è una filiera nella quale di fatto non ci sono assembramenti, lavora su appuntamento. Non solo: da circa una decina di anni è una filiera che applica protocolli di legge molto severi sulle disposizioni di carattere sanitario. Quindi onestamente se ci sono dei luoghi dove è proprio impossibile contrarre il virus è proprio da un parrucchiere o in un salone di bellezza, oggettivamente.
Si tratta quindi di valutazioni politiche?
G.L.: Al di là della questione dell'emulazione politica c'è anche la questione antropologica: l'acconciatore è vicino all'esperienza di tutti, maschi e femmine di ogni età. Riguarda più persone.
S.B.: Deve essere stato un lavoro di contrattazione: è talmente privo di senso dal punto di vista della razionalità socio sanitaria che forse è frutto di uno scontro di forze in cui alla fine si è tirata la linea un po' dove era più facile. I parrucchieri sono più diffusi territorialmente, è tipico anche dei piccoli borghi. Facendo una battuta: è una discriminazione sessista, perché dai parrucchieri ci andiamo anche noi maschietti, dagli estetisti forse più le donne.
I centri estetici hanno avuto difficoltà ad applicare i protocolli di sicurezza?
S.B.: La difficoltà è stata quella di introdurre a proprie spese ulteriori presidi sanitari. Però devo dire che era una filiera già molto avanti. È stata la filiera (tutta quella dell'estetica-benessere) in cui abbiamo fatto meno fatica anche come organizzazione di rappresentanza a definire il nostro contributo alle linee guide del Governo, perché era una filiera già molto attenta a queste cose. Il rischio è l'emergere dell'abusivismo: più teniamo chiusi soggetti corretti formalmente disciplinati di questa filiera più emergono soggetti abusivi che non applicano le disposizioni sanitarie. Tolgo lavoro a chi il Covid non me lo fa prendere e dò lavoro a chi non solo evade, ma mi fa pure prendere il Covid, detto molto in soldoni.
In occasione del precedente lockdown c'era stato un adeguato sostegno economico da parte del Governo?
S.B.: Noi possiamo parlare di buona volontà politica, che è stata dimostrata nel primo lockdown: il Governo i soldi sul piatto li ha messi. Però non è più possibile accettare che il Governo indennizzi alla stessa maniera zone rosse e non rosse. Imprese che subiscono danni di misure diverse vanno indennizzati in maniera diversa. Poi, anche in caso di buona volontà del Governo, i soldi son sempre pochi.
Vi state già muovendo per uniformare la situazione di parrucchieri ed estetisti?
S.B.: Assolutamente sì.
G.L.: La Regione non può arrogarsi il diritto di aprire attività che sarebbero chiuse per decreto. Il responsabile della divisione economica di CNA nazionale ci diceva che in Commissione Bilancio hanno avuto modo di esternare le problematiche dell'artigianato, questa tra le altre: ovviamente sono talmente tanti i temi che la maggior parte passano in secondo piano alla fine. Tra l'altro i parrucchieri aperti possono erogare il servizio solo ad abitanti del proprio Comune quindi è logico che i parrucchieri di comuni di dimensioni ridotte vedono la loro attività ridursi praticamente a zero. A rigor di logica era quasi più logico chiudere tutte le attività della filiera.
S.B.: Apprezziamo che a differenza del primo lockdown il Governo abbia riconosciuto che almeno i parrucchieri non costituiscono filiera a rischio, ma sono anzi essenziali per la cura della persona. Però bisognerebbe che il Governo consentisse l'apertura anche dei centri estetici.