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“Pay what you want” e il conto lo decidi tu

In un periodo di forte crisi economica il sistema del “Pay what you want” continua a diffondersi: sempre più numerosi sono i ristoranti, i musei e le panetterie che lasciano decidere al cliente se e quanto pagare.
A cura di Redazione Donna
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pay what u want

In tempo di crisi come il nostro a decidere se e quanto pagare il conto al ristorante lo decide il cliente. E’ questa la filosofia di fondo del sistema di pagamento “Pay what you want “.”Paga quello che ritieni giusto “ è un sistema di fissazione del prezzo in cui il compratore decide liberamente l’ammontare da voler corrispondere al venditore in cambio di un determinato bene o servizio. Sembrerebbe imbarazzante  immaginare che magari dopo una cena si decida di non pagare affatto, di voler pagare di meno di quanto valga oppure di voler pagare troppo. Questa politica economica potrebbe sembrare non avere alcun senso per il venditore, tuttavia in alcune situazioni rappresenta una strategia di successo, un successo che deriverebbe dall’eliminazione degli svantaggi. Dal lato del cliente, infatti, si paga quanto si vuole e si elimina di fatto il cosiddetto rimorso del compratore, generato dal timore di aver comprato un prodotto per cui non ne valeva la pena; dal lato del venditore, viceversa, si elimina la difficoltà di stabilire quale sia il prezzo giusto. Il prezzo libero trasforma una compravendita in uno scambio amichevole.

Il sistema del paga quanto vuoi esiste da molti anni nel mondo economico, lo ricordiamo nella prassi delle mance, nelle offerte agli artisti di strada e donazioni per beneficenza. Man mano negli anni hanno iniziato ad applicarlo anche ristoranti come “One Everybody eats”, fondato nel 2003, che chiedeva un contributo minimo di soli quattro dollari per gli antipasti, ma la grande attenzione verso questa prassi si è avuta nel 2007 quando i Radiohead distribuirono il loro album “In Rainbow” con un download direttamente dal loro sito che registrò un calo di incassi nelle vendite di oltre il 60%. Nonostante la crisi che ci attanaglia, il ritorno alla “economia dell’onore”  si è diffusa in musei statunitensi, negli alberghi, nei ristoranti, nelle panetterie e nell’editoria.

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