Non possiamo combattere i femminicidi se lasciamo i centri antiviolenza senza soldi
In Italia si conta una vittima di femminicidio circa ogni tre giorni: dall'inizio dell'anno sono state uccise 109 donne, di cui più della metà per mano di conviventi o ex compagni. Eppure, di fronte a un'emergenza di tali proporzioni, mancano i fondi per contrastarla. O meglio ci sono, ma arrivano a singhiozzo e in ritardo, come dimostra il rapporto di ActionAid "Cronaca di un'occasione mancata", pubblicato in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Questo significa meno risorse da destinare a chi è difficoltà: spesso chi cerca di scappare da una situazione di violenza trova intorno a sé il vuoto, non sa a chi chiedere aiuto e, se lo fa, non sempre trova persone preparate a trattare una situazione di abuso.
Perché i fondi per i centri antiviolenza sono bloccati
Negli anni spesso i centri antiviolenza hanno denunciato la mancanza dei fondi necessari a offrire adeguata assistenza alle vittime di abusi. La pandemia, però, sembrava essere un punto di svolta: durante il lockdown gli episodi di violenza domestica sono aumentati esponenzialmente, per via della convivenza forzata e della difficoltà delle vittime di chiedere aiuto. Eppure, constata ActionAid, non molto è cambiato dopo la pandemia: l'associazione monitora e analizza l'uso dei fondi statali previsti dalla legge sui femminicidi e evidenzia i ritardi sistematici nell'erogazione dei fondi. A metà ottobre 2021, le Regioni avevano erogato il 71% dei fondi del 2017, il 67% del 2018, il 56% per il 2019 e solo il 2% di quelli previsti per il 2020. E per il 2021? Ancora nessuna notizia. Il punto, sottolinea il rapporto, è snellire i passaggi burocratici tra Stato e Regioni, che oggi, secondo ActionAid, impiegano in media almeno sette mesi.
Poca prevenzione per la violenza di genere
I fondi ci sono, ma vengono distribuiti in modo disorganico e in ritardo. Non solo: i dati ci dicono che tra le voci di spesa sono minoritarie quelle che riguardano le politiche di prevenzione, che includono sia i programmi nelle scuole, sia la formazione delle forze dell'ordine e i programmi per uomini autori di violenza. Questa miopia è pericolosa, perché chi si rivolge alla polizia in cerca di aiuto deve sapere che chi ha di fronte è preparato a riconoscere – e trattare – una questione delicata come gli abusi, fisici o psicologici. Il problema è che spesso la violenza sulle donne è insidiosa e non lascia lividi: l'abuso emotivo è una forma di violenza a tutti gli effetti, ma difficile da riconoscere e viene sottostimata perfino dalle vittime stesse. Dall’inizio dell’anno le vittime di femminicidio sono state già 109: è una strage contro cui lo Stato ha promesso un impegno profondo.
Peccato però che quando alla Camera dei Deputati si discuteva la mozione contro la violenza sulle donne in aula erano seduti solo otto deputati ad ascoltare la ministra Elena Bonetti. Per per combattere la violenza di genere c'è bisogno di un cambiamento culturale diffuso, che parta dalle scuole e dalla percezione collettiva della violenza. Ma soprattutto, c'è bisogno di trattarla per quello che è: un'emergenza.