Mamme positive al Covid: quando il terrore non è la malattia, ma contagiare i propri figli
Non sono stati mesi facili per le famiglie italiane. Fanpage.it ha incontrato due mamme con storie diverse, ma con una cosa in comune: entrambe hanno avuto esito positivo al tampone per il Covid-19. Per Roberta ha significato fare i conti con il senso di colpa di aver portato la malattia in casa, al marito e al figlio di appena 5 mesi. Per Valentina ha significato mettere in discussione la gioia provata appena pochi giorni prima, quando aveva appreso di essere incinta. Le storie di queste due donne mettono in luce due risvolti della maternità al tempo del Covid e chiamano in causa due diverse implicazioni sociali: la tutela a scuola (visto che la prima è un'insegnante e si è ammalata lì) e una certa disorganizzazione delle strutture sanitarie (dato che la seconda non ha avuto direttive chiare su come gestire la gestazione). Ecco cosa ci hanno raccontato.
«La scuola non è un luogo sicuro»
Roberta era felice di tornare tra i banchi di scuola: per una maestra la didattica a distanza non è il massimo, soprattutto per lei che insegna educazione fisica ai ragazzi delle scuole medie. Ma le garanzie di sicurezza della struttura non sono bastate: Roberta si è ammalata di Covid in una classe che si è poi rivelata essere un focolaio. Il 17 ottobre ha avuto l'esito del tampone e ricorda perfettamente quel giorno: «Erano le 3 del mattino, ero sveglia per dare da mangiare al mio bambino e non mi sono più riaddormentata. Sospettavo, ero pronta all'esito positivo ma speravo fosse negativo, perché avevo alcuni sintomi che mi hanno fatto pensare. Probabilmente qualche alunno era positivo asintomatico e ha contagiato quasi tutta la sia classe. La preside è sempre stata scrupolosa, ma i ragazzi o non tenevano la mascherina o tentavano contatti fisici». La questione delle scuole è stata una delle più dibattute nel Paese: riaprirle o no? Sono sicure? Col senno di poi Roberta non ha dubbi: «Adesso non è fattibile il ritorno a scuola, non sono a favore delle riaperture. La didattica a distanza limita molto, per me fare ginnastica su una piattaforma online non è il massimo. Ma vista la mia esperienza e sentita anche quella di colleghi, io non sono a favore. Si è manifestato l'esatto contrario di quello che diceva il Ministro dell'Istruzione: la scuola è il luogo più sicuro. Invece si è rivelato non esserlo e i ragazzi sono tutti a casa».
«Ho il terrore di riprenderlo di nuovo»
Nella famiglia di Roberta sono risultati positivi anche suo marito e il figlio di appena 5 mesi. Proprio la positività del piccolo è stata la cosa peggiore: «All'inizio era asintomatico. Ho iniziato ad avere una paura gigante quando sono comparsi febbre, tosse e dolori ovunque, come me e suo padre. Piangeva costantemente tutto il giorno. È durata pochi giorni, ma sono stati infiniti: mio marito e io non stavamo bene, ma dovevo badare al mio bambino». E il loro isolamento è durato anche più del previsto, perché Roberta si è negativizzata dopo ben 43 giorni, 43 giorni in cui col senno di poi riesce a trovare un piccolo lato positivo: «I primi 15 giorni sono stati brutti, perché avevamo tutti i sintomi, stavamo tutti male, gestire il bambino era difficile. Ma poi abbiamo creato la nostra routine familiare. Mio marito col lavoro che fa è fuori tutto il giorno e si è ritrovato h24 con noi: diciamo che è stato anche bello. Ci siamo un po' goduti la famiglia, proprio guardandola da molto lontano, perché è stato brutto». I medici hanno informato Roberta che è possibile ammalarsi una seconda volta, anche se per un po' i suoi anticorpi dovrebbero proteggerla: «Ho il terrore di prenderlo di nuovo, in modo grave. Più che per me per il mio bambino. Conosco persone a cui non è andata bene come a noi». Il piccolo Giovanni ora ha 6 mesi. Un giorno sentirà dalla sua mamma la storia per nulla fantascientifica di una pandemia che ha tenuto il Paese in bilico per un intero lungo anno: «Gli diremo che è stato un bambino forte! Io ho fatto gli ultimi due mesi di gravidanza e parto durante il primo lockdown e poi lui si è ammalato nel secondo. È stato un piccolo Highlander».
«Mi è crollato il mondo addosso»
Nemmeno il tempo di godersi la notizia della gravidanza, che Valentina ha dovuto fare i conti con una notizia tutt'altro che felice: è risultata positiva al Covid-19 alla quarta settimana, proprio quando era in procinto di fare la prima ecografia. E da lì si è fermato tutto: «Mi è crollato il mondo addosso, ma non per la positività, ma perché aspettavo un bimbo e non sapevo se poteva creare qualche problema in questa fase così delicata del primo trimestre, in cui c'è la formazione del bimbo. Crescerà? Non crescerà?». In merito ha avuto poche rassicurazioni, perché non ci sono abbastanza studi, ce ne sono solo sull'ultimo trimestre: «Con la placenta mi dicono che il virus non dovrebbe trasmettersi. La mia paura è una rallentamento della crescita, una malformazione». A distanza di quattro tamponi distribuiti nell'arco di un mese non si è ancora negativizzata, pur avendo avuto solo pochi sintomi e concentrati nei primissimi giorni. Questo ha ovviamente rallentato tutto il decorso di un normale primo trimestre di gestazione. «Mi sono trovata impossibilitata a fare visite. Non sapevo come muovermi, il ginecologo lo sentivo per messaggi».
«Tutti mi dicevano cose diverse»
La difficoltà principale per Valentina è stata accedere alla prima ecografia, anche una volta superati i famosi 21 giorni secondo cui, da decreto, era libera di uscire. Nel suo caso, però, anche se in assenza di sintomi c'era il problema del tampone che continuava ad essere negativo. «L'ospedale (visita privata) mi ha detto che tutte le libere professioni sarebbero state sospese fino a maggio. Superati i 21 giorni ero libera di uscire, ma tutte le strutture contattate non mi prendevano in carico, anche quelle private mi dicevano: "Signora, è vero che il decreto dice così, ma noi trattando pazienti fragili trattiamo solo tamponi negativi, quindi senza quello non potrà fare la visita nemmeno a pagamento. Deve andare in una struttura Covid che segue donne in gravidanza". Ho parlato con ATS, ho telefonato e mandato mail e tutti mi davano risposte diverse». Alla fine infatti si è rivolta a un ambulatorio di questo tipo, appena entrata nell'undicesima settimana, dunque ha fatto l'esame molto avanti anche se ancora nei tempi. L'unica speranza di Valentina è che le cose vadano avanti per il meglio, nonostante l'assenza di visite nel primo mese e che dunque non ci siano complicazioni. Il suo augurio è quello di poter un giorno raccontare al suo bambino, col sorriso, questo momento così particolare.