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Lo shopping compulsivo non rende felici e rovina l’ambiente: ecco perché

A chi non è mai capitato di darsi allo shopping folle, magari in un momento difficile della propria vita, e di sentirsi immediatamente più felici? Si tratta solamente di un’illusione, la verità è che un comportamento simile è solo una forma di dipendenza che ha effetti negativi sia su se stessi che sull’ambienti.
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A cura di Valeria Paglionico
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A chi non è mai capitato di darsi allo shopping folle, magari in un momento difficile della propria vita, e di essere travolti immediatamente dal buon umore? A dispetto di quanto si potrebbe credere, però, questa abitudine non è benefica né per se stessi né per l'ambiente. A dimostrarlo è stato un report commissionato da Greenpeace in Cina, Hong Kong, Taiwan, Italia e Germania tra il dicembre 2016 e il marzo 2017 durante il Copenhagen Fashion Summit, il principale forum mondiale dell'industria per la moda sostenibile, secondo il quale l'acquisto compulsivo di abiti ha diversi risvolti negativi "insospettabili".

Si tratta di un'abitudine particolarmente diffusa nell'occidente benestante, una vera e propria forma di dipendenza che non solo ha un impatto ambientale non indifferente ma che potrebbe avere gli stessi effetti dell'hangover sul corpo. Dona solo l'illusione della felicità poiché l'emozione dell'acquisto viene spesso confusa con un miglioramento del proprio umore ma, dopo sole 24 ore, quel senso di eccitazione scompare. Kirsten Brodde, protagonista della campagna "Detox my Fashion", ha spiegato dettagliatamente cosa succede a una persona subito dopo essersi data allo shopping compulsivo:

Lo shopping binge è seguito da una sbornia emotiva, fatta di vuoto, di colpa e di vergogna. Le persone cominciano a rendersi conto di essere intrappolate in un ciclo insoddisfacente di moda, dell'ossessione di seguire i nuovi effimeri trend e che infine la sovrabbondanza di abiti che posseggono non porta a una felicità duratura. Le marche di abbigliamento dovrebbero cambiare radicalmente il proprio modello di business spostando l'attenzione dalla produzione dalla quantità verso la qualità e la durata.

A favorire la diffusione dello shopping binge sono i colossi della moda low-cost come H&M, Zara, Primark, Uniqlo, che presentano nuovi capi d'abbigliamento a prezzi bassissimi ogni settimana, spingendo i clienti a fare acquisti con facilità e con maggiore frequenza. Gli acquirenti compulsivi sanno di non aver bisogno di quei vestiti e che probabilmente non saranno in grado di utilizzarli ma li comprano lo stesso, sentendosi in colpa quando si rendono conto del fatto che probabilmente non li utilizzeranno mai.

Le aziende della cosiddetta "fast fashion", inoltre, non hanno fatto altro che raddoppiare la produzione mondiale di abiti negli ultimi 15 anni, facendo aumentare i miliardi di rifiuti già presenti nelle discariche. Il fenomeno della "moda veloce" ha cominciato a svilupparsi in Cina ma si è diffuso a macchia d'olio anche in Europa: il Germania ben il 60% della popolazione ammette di possedere più abiti di quelli necessari, cifra che scende al 51% in Italia ma che rimane comunque preoccupante.

Perché si acquistano abiti anche quando non servono?

Dietro lo shopping compulsivo non c'è solo la voglia di sentirsi più felici ma anche precise motivazioni sociali. Si comprano abiti non perché se ne ha realmente bisogno ma perché è qualcosa che dà sollievo dallo stress, aumenta la fiducia in se stessi e aiuta a ottenere riconoscimento e stima dagli altri, visto che è un'abitudine che permette di essere sempre alla moda. E' come se le aziende vendessero falsi sogni di felicità, bellezza e suggestione legata ai prodotti da acquistare ma la verità è che gli acquirenti sarebbero molto più felici se si trovassero tra le mani degli abiti di alta qualità e di lunga durata.

Il report di Greenpeace ha dimostrato che un terzo dei consumatori eccessivi si sente vuoto annoiato o perso quando non fa shopping, visto che l'euforia dura al massimo un giorno, e che addirittura la metà degli acquirenti compulsivi nasconde i prodotti acquistati per paura di essere giudicato. La diffusione dello shopping online ha inoltre peggiorato la patologia. La campagna "Detox my fashion" di Greenpeace si propone di cambiare il modo in cui si consuma, spingendo gli acquirenti a trasformare il proprio stile di vita, evitando di cercare la felicità nei centri commerciali. In questo modo, si eviteranno gli sprechi e si favorirà la comparsa di un settore tessile più pulito che non ha alcun impatto sull'ambiente che ci circonda.

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