L’autismo raccontato da una persona autistica, Federica: «Non siamo persone rotte a cui mancano pezzi»
Avere l'autismo, soffrire di autismo, essere affetto da autismo, non sembrare autistico: ci sono molte espressioni e molte convinzioni del tutto scorrette, frutto di una scarsa e non adeguata informazione, ma anche di una narrazione mediatica il più delle volte stereotipata. Oggi più che mai invece c'è bisogno di fare un po' di chiarezza visto che il 2 aprile ricorre appunto la Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell'Autismo. E "consapevolezza" è una parola a cui Federica Giusto tiene tantissimo, perché lei stessa da tempo combatte contro una serie di pregiudizi legati allo spettro autistico. A lei è stato diagnosticato a 31 anni, molto tardi come spesso accade alle donne (di più rispetto agli uomini). Da quel momento è riuscita a dare tante risposte ai suoi comportamenti, ai suoi pensieri, al funzionamento della sua mente che non ha nulla di sbagliato: è una normale mente autistica.
Che cos'è l'autismo
Anni fa è stato scelto, come simbolo per rappresentare l'autismo, un pezzo di puzzle blu. Questa scelta ha contribuito a darne una percezione distorta, come se fosse qualcosa da correggere: «Ha un significato terribile, perché ci rappresenta come persone rotte alle quali mancano dei pezzi» ha spiegato Federica a Fanpage.it. Nel tempo fortunatamente le cose sono cambiate, non si pensa più che l'autismo sia sinonimo di disabilità cognitiva e oggi si sa che non è una affatto una patologia: «È un tipo di funzionamento mentale. Le persone autistiche sono tutte autistiche, non c'è una più o meno autistica di un'altra». Tra l'altro, si parla di spettro autistico proprio perché le sue manifestazioni sono tante, tutte diverse tra loro. Si tende a pensare al bambino capriccioso che rifiuta gli abbracci e che ha difficoltà a socializzare, che però ha una memoria sensazionale: ce lo hanno sempre fatto passare così. Questo stereotipo falsa la realtà del fatti, che è più variegata e complessa: «Noi persone autistiche ci fissiamo sulle cose, però non per forza matematica o numeri. La danza, la cultura hip hop, Walt Disney e il colore rosso fanno parte dei miei interessi assorbenti, vengono chiamati così. Col tempo si è aggiunto proprio il discorso dell'autismo. Tanti una volta scoperto si sono fissati su questo argomento, perché oltre ad aver scoperto se stessi hanno capito di poter aiutare altre persone».
La consapevolezza di non essere sbagliata
Purtroppo la disinformazione è ancora tanta e per questo la consapevolezza è importante: «La non conoscenza vieta l'accesso alle diagnosi». Federica la sua l'ha avuta a 31 anni e le ha cambiato la vita, perché finalmente è riuscita a motivare tutta una serie di comportamenti a cui prima non riusciva proprio a dare spiegazione: «Per tutta la vita ho usato male la mia testa cercando di adattarmi a situazioni, sforzando il mio funzionamento. Con la diagnosi ho capito che non devo cambiare niente di me, semplicemente vorrei che le persone capissero di più cosa significa essere persone autistiche, come comportarsi con noi». Nel suo caso, un grande aiuto è arrivato dalla danza, scoperta nell'infanzia. Oggi lavora come ballerina professionista e per lei danzare ha un significato profondo: «Mi ha aiutato a entrare nella società, perché io proprio non ci riuscivo. O meglio: non ci riuscivo secondo i canoni che la società ci impone e quindi tramite la danza ho trovato un canale di espressione che mi ha aiutato quando non avrei proprio saputo come comportarmi».
"Essere" autistico è diverso da "avere" l'autismo
Avere consapevolezza sull'autismo significa anche usare le giuste parole, perché ciò che Federica non sopporta è che venga considerata malata o che si usi l'espressione "affetta da qualcosa". «Non siamo affetti dal nostro funzionamento, è impossibile. Pensando di dover curare le persone autistiche per l'autismo si possono creare gravi danni, può capitare di ammalarsi mentalmente, si può cadere in depressione. Non siamo persone con autismo, l'autismo non è una cosa distaccata: siamo persone autistiche, come le persone neurotipiche sono neurotipiche» ha specificato. E la consapevolezza passa attraverso la sensibilità, passa attraverso il porsi in modo aperto, con la voglia di capire e di adeguarsi ai bisogni di qualcuno che ha una mente che funziona in modo diverso. L'ascolto è fondamentale: «Vorrei tanto che si ascoltassero di più le persone autistiche che possono e vogliono raccontarsi, perché c'è troppa gente che ci racconta per come ci vive al di fuori».
Meno confusione, più ascolto
Federica negli anni precedenti la diagnosi ha dovuto soffocare se stessa, soffriva nel doversi adattare a comportamenti e stili di vita per nulla aderenti alla sua natura, al suo funzionamento mentale. Sapere di essere persona autistica non la spaventa: ciò di cui ha paura è avere intorno persone non disposte all'ascolto, non disponibili a comprendere realmente i suoi bisogni, le sue necessità, i suoi gesti. Da bambina la definivano capricciosa, quando non voleva indossare maglioni di lana. Solo in seguito è riuscita a capire ed esprimere chiaramente che la sua percezione della lana sulla pelle è pari a quella di aghi appuntiti. Ed è un ago conficcato nella pelle anche ogni volta che le dicono che non sembra autistica perché balla o che la definiscono malata o che le fanno pesare i suoi interessi assorbenti, perché è come colpevolizzarla semplicemente per il suo modo di essere. Invece Federica, così come tutte le persone autistiche (non con autismo!) non ha nulla di sbagliato o di rotto, non è un puzzle a cui mancano i pezzi. Il suo ingranaggio non va aggiustato: va solo capito.