“E' proprio vero che la legge è uguale per tutti” si è rammaricata la parlamentare Daniela Santanché. Il tribunale di Milano l'ha infatti condannata a 4 giorni di arresto e 100 euro di ammenda, convertiti in 1.100 euro di ammenda, per aver organizzato una manifestazione “anti burqa”. Il reato contestato, che risale al 20 settembre 2009, è di “ manifestazione non autorizzata”- Assieme a lei è stato condannato a pagare 2.500 euro anche un egiziano, per averla aggredita in quell'occasione. “Ho avuto lo stesso trattamento di centri sociali, no tav e black block… Un verdetto vergognoso” si è indignata rivelando ancora una volta la confusa visione del mondo e la pretesa del privilegio. Daniela Santanché era all'epoca a capo del “Movimento per l'Italia”, fondato da lei stessa, l'anno prima. Bisognava darsi da fare per “ricucire i valori della destra”. Quale migliore argomento che occuparsi di “donne” e “immigrazione”?
Così, la sua manifestazione “anti- burqa”, messa in scena a Milano davanti alla Fabbrica del Vapore, era un argomento succulento che univa l'aspirazione di creare il “nemico straniero” sul solco della Lega, e affermare, in negativo, la bontà del sentimento clericale contro l'islamico da educare. Consentiva inoltre di agganciare questo tema alla comunicazione su fumosi principi di sacralità della vita (cioè antiabortisti) e altre questioni di varia inutilità come il crocefisso nelle aule, e cosa si dovesse fare o meno per affermare i valori cristiani della destra. Questi erano infatti i temi che occupavano la politica e i media mentre la crisi si era già ampiamente affacciata.
La “crociata Santanché” consisteva nel salvare le donne dalle “prigioni portatili” del burqa (un po' come le occidentali portano burqa di carne paralizzata da botulino) senza chiedere loro se volessero essere salvate dalla tradizione che magari rispettavano liberamente, senza interrogarsi del valore di quella copertura integrale, senza curarsi del numero ristretto a poche decine di donne con burqa o niqab che si possono incontrare in Italia. In questo scenario, per catturare l'attenzione dei media, il reato è stato commesso da Santanché in uno spazio sacro (o adibito a tale) nel momento culmine per il rito più importante del mondo islamico, cioè l'ultimo giorno di Ramadan, e fatto apposta per provocare una qualsiasi reazione. Come entrare il giorno di Natale a San Pietro e liberare le suore dal velo mentre sono raccolte in preghiera. Un gesto di incredibile violenza simbolica.
La parte più volgare di quella crociata era quella di “far rispettare la legge italiana” (che prevede di non coprirsi il volto in luogo pubblico) avvalorando così uno dei cavalli di battaglia della Lega e della destra concentrata a costruire il nemico straniero: l'immigrato viene in Italia e, lui, non rispetta la legge. La polemica del “velo islamico” soprattutto del niqab (che scopre solo gli occhi) o del burqa (con copertura totale) non solo è una questione ancora apertissima nel mondo arabo, ma ha animato per anni il dibattito pubblico in Francia, dove è inziato intorno agli anni '90, ha fatto scrivere fiumi di inchiostro, reagire filosofi e editorialisti per sfociare, nel 2013 in una – discutibile ma equa senz'altro- “carta di laicità” o divieto di esporre segni ostensibili della propria religione nelle aule scolastiche. Quindi no ai crocefissi, alla kippà. E no anche al velo.
L'ignoranza di cui era pervaso il gesto di Daniela Santanché, e la strumentalizzazione della questione femminile però furono niente rispetto alla ripresa, qualche mese dopo. dell'argomento anti islam, nel salotto Mediaset, di Barbara D'Urso. Qui si ospitava oltre a Santanché, anche il più rissoso e provocabile esponente della comunità islamica, Ali Abu Schwaima, presidente del Centro islamico di Milano e Lombardia, protagonista di risse televisive a sfondo religioso. Ovviamente scelto ad arte per far capire la violenza musulmana e avvalorare la crociata. Arbitro della questione, Vittorio Sgarbi, notoriamente il più adatto. Durante questo dibattito moderato inoltre da Barbara D'Urso, Santanché ha potuto affermare «Maometto per noi era poligamo e pedofilo, perché aveva nove mogli e l’ultima di nove anni». E in uno slancio europeista invitava l'Ue ad «occuparsi del fatto che in Arabia Saudita vendono le bambine agli sceicchi». Lo studio venne poi trasformato in un'arena in cui si mischiarono tragicamente bombe, terrorismo, pedofilia e cristianità.
Queste sentenze, in particolare per i reati compiuti da politici, servono non solo a ristabilire i criteri di equità e a squarciare l'odiosa cortina di privilegio che trasmettono, ma a consentire il riepilogo e la memoria di personaggi che hanno attraversato la politica e i media italiani. E che, nel tempo, non hanno fatto che migliorare la loro posizione.