La maternità non ci rende più donne: perché non farsi condizionare dalle pressioni sociali
Ci sono donne che non vedono l'ora di essere madri e altre donne che invece di maternità non vogliono neanche sentire parlare. E poi c'è una zona grigia, abitata dalla maggioranza delle donne, la cui mente è affastellata da dubbi sulla gravidanza. Donne che ragionano, stilano liste di pro e contro chiedendosi come cambierà la loro vita con un figlio e che insieme alle donne che la maternità non la desiderano affatto, spesso si scontrano con chi crede che ogni donna non voglia altro che un bambino. "Oggi notiamo che questi dubbi sono molto più frequenti che in passato – ha spiegato a Fanpage.it la dottoressa Marianna Palermo, psicologa e psicoterapeuta specializzata in psicologia perinatale, per la prevenzione e la cura dei disturbi psichici in gravidanza – Fino a non tantissimi anni fa era abbastanza scontato avere dei bambini, desiderare una famiglia. Non c'erano neanche troppe riflessioni o ragionamenti da fare. Oggi non è più così".
Lavoro e reddito: i due fattori che influenzano la maternità
Difficile che oggi la maternità sia una scelta avventata. Le donne si interrogano, valutano, fanno domande e ragionamenti prima di iniziare a provare ad avere un bambino. "L'aspetto lavorativo è il primo criterio: le donne spesso posticipano la maternità per assicurarsi di aver raggiunto una buona posizione lavorativa o perché hanno il timore di non poter conciliare lavoro e maternità". Insieme al lavoro l'altro fattore discriminante è quello economico: avere un figlio ha un costo. "C'è una grande consapevolezza sull'aspetto economico della maternità e per questo molte donne preferiscono aspettare di avere una base solida su cui poter fare affidamento prima di iniziare una gravidanza".
Voglio un figlio, oppure no?
E anche se le donne oggi si interrogano molto di più rispetto a ieri, il sistema sociale che le circonda non è cambiato. È ancora incardinato in uno schema fisso che prevede la maternità come un passaggio scontato, una fase necessaria per dare un senso alla propria vita. Come se senza un figlio non si fosse abbastanza donna. "Nei percorsi che svolgo cerco sempre di capire quale è il loro immaginario, cosa vuol dire per loro avere un figlio. – spiega la psicologa – E poi cerco di smontare l'idea che molto spesso alberga in loro e che cioè senza un figlio non siano abbastanza per la società. Non bisogna mai stancarsi di ripeterlo: ogni donna è una donna a 360 gradi con e senza figli".
Il lato "oscuro" della maternità
Oltre a smontare il paradigma della maternità come realizzazione completa della donna, c'è anche un'altra equazione da dover ricalcolare: essere madri non vuol dire essere sempre felici. "Bisogna cancellare dalla nostra mente l'idea che la maternità ci trasformi da un giorno all'altro nella famiglia o nella donna perfetta. Cancelliamo l'idea stereotipata della madre sempre serena. Si tratta di un falso mito: una neomamma può avere difficoltà a gestire la sua vita subito dopo la nascita e anche più avanti, può essere agitata, nervosa o depressa. Una neomamma, soprattutto nei primi mesi dopo il parto, tende a mettersi da parte, a mettere al primo posto il proprio figlio e questo può diventare motivo di frustrazione". Bene dunque nei percorsi di avvicinamento alla maternità, fare luce anche sugli aspetti più ‘oscuri' di quello che vuol dire essere madri. "Bisogna parlare con le future madri, informarle. In questo modo arriveranno al parto con più consapevolezza e serenità. E si tratta di un lavoro indispensabile soprattutto con le madri che avevano espresso più dubbi riguardo la possibilità di una gravidanza. Devono sapere che sentirsi giù di morale o di cattivo umore è assolutamente normale, non dovranno giudicarsi per questo motivo come cattive madri".
Liberarsi dai condizionamenti
E quando i dubbi sono tanti e non si riesce a fare chiarezza da sole o con il sostegno del proprio marito o compagno può essere utile incontrare un esperto. "Quando una donna arriva da me con dei dubbi io cerco di puntare anche sulla presa di coscienza del fatto che fare un figlio vuol dire prendersi una responsabilità e un impegno per la vita e che non si può scegliere di dare alla luce un bambino soltanto per assecondare le aspettative sociali. Il rischio è andare incontro a ansia e depressione". Consapevolezza allora è la parola chiave: "Meglio fare qualche colloquio se ci sono molti dubbi, si tratta di un modo per evitare di rimpiangere la scelta fatta. Il rischio altrimenti è crescere un bambino in un ambiente familiare non sano, all'interno del quale potrebbe percepire il fatto di non essere desiderato o amato. E lo stesso vale invece per le donne che hanno un desiderio di maternità ma per qualche motivo invece sono bloccate: in quel caso si lavora proprio sulle paure che causano il blocco". Non sentiamoci allora condizionate dall'amica che a 26 anni è già mamma o dalla zia invadente che non fa che chiederci quando sforneremo un pargoletto. "Non dobbiamo avere il timore di dire loro che la scelta di un bambino è una scelta di coppia, che ci sono delle priorità differenti da quelle che loro immaginano e soprattutto che non si è meno adulte e meno donne se non si hanno figli".