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Opinioni

In Iraq le donne continuano ad essere uccise, ma non smettono di scendere in piazza

Da mesi Baghdad e le piazze delle maggiori città irachene sono teatro di scontri tra manifestanti e forze dell’ordine filogovernative. Da quest’anno anche le donne hanno preso parte alle manifestazioni e sono sempre più esposte nell’esigere un governo senza corruzione e la libertà ad autodeterminarsi. Nonostante siano il primo bersaglio del potere.
A cura di Giulia Torlone
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Reham Yacoub era una giovane donna irachena, animatrice di tante proteste antigovernative che dall’inizio di quest’anno stanno infiammando le piazze di Baghdad. Un’attivista, punto di riferimento per le lotte di Bassora, nel sud dell’Iraq. Il 19 agosto Reham è stata assassinata da un comando armato nel centro della cittadina, pochi giorni dopo l’uccisione di un’altra donna simbolo del Paese: Tahseen Osama. I colpevoli vanno rintracciati nella polizia governativa e nelle milizie filoiraniane, che stanno mietendo vittime appartenenti alla società civile ormai da tempo.

We live in a geographical location where we are murdered for demanding our most basic rights: Water!!! A black comedy when Iraq is the land of Ashura we are told! The land where Imam Hussein and his 72 companions were deprived of WATER! History repeats itself! The tyrants kill a young woman for demanding water! Ironically, the tyrants are those who uphold Muharram… They’ve taken another life in cold blood; Reham Yacoub… How weak you are, when your foundations are shattered with our voices!!! You may take away Reham’s life, but her voice is immortal. Invincible, in each and every freedom fighter, it will remain! . . ‎ما در نقطه ای جغرافیایی زندگی می کنیم که به خاطر مطالبه ابتدایی ترین حقوق خود، ما را به صلابه می کشانند؛ برای مطالبه ی آب جانش را ستاندند!!! کمدی تلخیست وقتی در روزهای کرونازده کاسبان عاشورایی به مرضای بستری شده در بیمارستان ها هم رحم نمی کنند! آری، یزیدیان زمانه به یادحسین و تشنه لبان صحرای کربلا به سر و سینه می زنند، حال آنکه برای زنان و دختران تشنه لب، کفن به ارمغان می آورند!!! ‎چقدر ضعیف هستید که شالوده ی قدرتتان با صدای ما به لرزه می افتد!!! جان شیرین خواهران ما را می ستانید، اما صدای #ریهام_یعقوب در رگ های هر آزادی خواهی تا ابد خواهد خروشید… . . #iraq #basra #rehamyacoub #rehamyaqoob #iran #militia #terrorism #muharram #ashoura #feminism #activism #activist #humanism #humanrights #womensupportingwomen

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I motivi della protesta

Neanche il coronavirus è riuscito a fermare l’ondata di rivolte e indignazione del popolo iracheno che da mesi lotta per un cambiamento radicale che metta fine alla corruzione del potere, alla povertà, al clientelismo che fa da padrone. Una generazione in rivolta, si potrebbe dire, perché le piazze di Baghdad sono piene di giovani che vogliono spezzare le proprie catene. Se fino agli scorsi anni la partecipazione femminile alle proteste era davvero irrisoria, quest’anno le donne irachene sono le protagoniste. Per la prima volta nella storia del Paese si sono unite alla protesta degli uomini con le stesse legittime richieste, ma accompagnate da una voglia di cambiamento che appartiene solo a loro stesse.

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Il volto della donne nelle rivolte in Iraq

Il ruolo della donna infatti, con i governi confessionali al potere dal 2003, ha subito un drastico cambiamento sul modello del vicino Iran. Hijab obbligatorio, matrimoni precoci, limitazioni alla propria autodeterminazione. La vita delle donne è precipitata in un buco nero. E se per più di dieci anni, anche a causa grave conflitto che gravava sul Paese, sono state in silenzio, da mesi ormai si sono prese le piazze e lottano con i propri concittadini uomini. L’assassinio di Reham e di Tahseen ha indignato la società civile, che viene colpita quotidianamente da retate e gas lacrimogeni, e ha fatto sì che la lotta non si fermasse ma coinvolgesse ancora più donne. Lo sgomento è partito dal web, con chiari segni di protesta levato da più voci, e si è riversato nelle piazze del Paese ormai occupate da febbraio e tornate ad essere piene nonostante la pandemia. A nulla sono servite le dimissioni del primo ministro Adil Abdul-Mahdi, formalmente accettate dal parlamento iracheno il primo dicembre 2019 non hanno affatto escluso gli scontri con le forze di sicurezza che invece hanno portato a oltre 400 morti e 19.000 feriti, a cui si devono aggiungere alcuni casi di attivisti sequestrati. Le donne irachene, nella lotta con gli uomini del proprio Paese, esigono una politica libera dal malaffare sulla pelle dei cittadini e, in più rispetto ai propri compagni, sentono l'esigenza di essere libere dalle catene che i governi confessionali hanno stretto ai loro polsi. Per questo non si fermeranno.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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