Nella prima serata veniva portato su un carrello, nella seconda dal valletto con i guanti, stasera un po' a casaccio. È il mazzo di fiori, protagonista indiscusso di ogni kermesse targata Ariston che si rispetti. D'altronde si sa, Sanremo è la città dei fiori. E loro, inconsapevoli, vengono donati sempre e solo alle donne. Gesto di cavalleria, di galanteria si potrà dire, ma possiamo ribattere che sia un retaggio da poterci tranquillamente lasciare alle spalle?
Nell'edizione più genderless di sempre, i fiori sono ancora per le donne
Che i tempi non siano più gli stessi è evidente. Francesca Michielin esordisce con un "facciamo una volta per uno, stasera li do a Fedez" passando al compagno di avventura il mazzo davanti allo sguardo di Amadeus interdetto. E ancora Damiano dei Maneskin che, stasera, li dà a Manuel Agnelli e non alla donna del gruppo, Vittoria. Un'altra dimostrazione sono quei fiori donati, ieri, a La rappresentante di lista, la band più queer del panorama mainstream dove la libertà sessuale è d'obbligo. Un mazzo che è stato diviso sul palco non solo con le altre due musiciste che non lo avevano avuto, ma un fiore è stato strappato anche da Dario Mangiaracina, parte del duo canoro. Un gesto passato forse inosservato, ma che ci porta prepotentemente al presente. Un'edizione definita contemporanea, indie, dove Achille Lauro si esibisce nel suo "genderless", può ancora sottostare ai dettami ipocriti in cui i fiori sono solo e soltanto per le donne?
I retaggi culturali del binomio donna e fiori
È sempre stato piuttosto bizzarro misurare la femminilità con i fiori e la mascolinità con la negazione di essi. Potremmo discuterne per ore senza trovare una spiegazione logica, ma l'evidenza è che alcuni retaggi culturali restano. La Rai, nonostante il tentativo di abbracciare una libertà identitaria e artistica, rimane ancora imbalsamata in una cavalleria superata dai tempi, dimostrando che il mondo fuori da quel teatro ha fatto enormi passi avanti. L'Ariston invece resta sempre simile a se stesso: nel bene e, troppo spesso, nel male. Sarà per il prossimo anno, si spera.