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“Frasi razziste”: la direttrice 27enne di Teen Vogue costretta a dimettersi per tweet di dieci anni fa

Alexi McCammond era stata scelta come terza direttrice afroamericana della rivista di Condé Nast: ma le pressioni di lettori, staff e investitori l’hanno costretta a lasciare ancor prima di iniziare. Il caso riapre il dibattito sulla ‘cancel culture’: è giusto punire qualcuno per gli errori del passato, senza possibilità di redenzione?
A cura di Beatrice Manca
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A 27 anni, Alexi McCammond aveva raggiunto praticamente tutto quello che una giovane giornalista poteva sognare: una laurea all’Università di Chicago, l'incarico di reporter politica a Washington, un spazio nella rete televisiva Nbc e infine la prestigiosa nomina di direttrice di Teen Vogue, la versione "giovane" della più famosa rivista di moda al mondo, destinata alle adolescenti. Ma la sua folgorante carriera si è interrotta per via di alcuni tweet considerati omofobi e razzisti, che l'hanno costretta a lasciare l'incarico. Quel che sorprende è che si tratta di frasi scritte oltre dieci anni fa, quando Alexi aveva 17 anni, per cui si era già scusata in passato. "I tweet del mio passato hanno messo in ombra il lavoro che ho fatto per dare visibilità a temi importanti", ha scritto nel tweet con cui annuncia la rinuncia all'incarico.

I tweet razzisti di Alexi McCammond

I tweet in questione risalgono al 2011 e al 2012: la McCammond, all'epoca studentessa, derideva l'aspetto di un insegnante asiatico che gli aveva dato dei brutti voti. La questione era emersa per la prima volta nel 2019, quando Alexi McCammond lavorava per Axios: la giornalista si era scusata pubblicamente, dicendo di aver compreso i suoi sbagli e di impegnarsi a far meglio in futuro. Ma la notizia della sua assunzione a Condé Nast, lo scorso venerdì, ha nuovamente riaperto il caso: sarebbe potuta diventare la terza direttrice afroamericana della rivista e invece le ombre del suo passato hanno compromesso la sua posizione. Lunedì, un gruppo di oltre 20 membri dello staff di Teen Vogue ha inviato una lettera alla direzione esprimendo "preoccupazione". Mercoledì scorso, poi, l'Asian American Journalists Association ha formalmente invitato Condé Nast a "garantire il proprio impegno nei confronti delle comunità e dei dipendenti dell'Asia americana e delle isole del Pacifico". Alexi a quel punto ha dovuto ribadire le proprie scuse sui social, per poi annunciare la decisione di farsi da parte.

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Il motivo della reazione di Condé Nast

Se la reazione di staff ed editori può sembrare sproporzionata, bisogna comunque tenere in considerazione il fatto che Teen Vogue è una pubblicazione progressista e molto sensibile al tema dell'inclusione e della diversity. Il pubblico giovane e "woke" a cui si rivolge difficilmente chiude un occhio su episodi, veri o presunti, di discriminazione. Tra gli stakeholder che seguono queste dinamiche con attenzione ci sono poi gli investitori pubblicitari: Ulta Beauty, importante inserzionista di Teen Vogue, ha messo in pausa una campagna pubblicitaria sulla rivista, come confermato alla Cnn. C'è poi da considerare il delicato momento storico: la sparatoria di Atlanta, in cui sono morte 8 donne di origini asiatiche, ha riacceso il dibattito sulle discriminazioni che queste persone devono quotidianamente affrontare negli Stati Uniti, specialmente nell'anno della pandemia originata in Cina. Secondo uno studio della California State University, i crimini d'odio nei confronti degli asiatici sono più che raddoppiati, passando da 49 a 122 nel 2020. Il caso di Alexi McCammond riapre il dibattito sulla ‘cancel culture': è giusto "rimuovere" completamente un personaggio che ha espresso posizioni controverse? Una volta condannate le affermazioni offensive, è giusto punire anche chi le ha espresse per il resto della sua vita, senza possibilità di redenzione?

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