Solo pochi giorni fa l'Italia si è divisa sulla storia di Alice Merlo. La 27enne si è esposta in prima persona sul tema dell'aborto farmacologico facendo da testimonial per una campagna. Un messaggio semplice il suo: basta con la narrazione stereotipata dell'aborto, basta rappresentarci come donne sofferenti a vita, che convivono faticosamente con un peso sulla coscienza. Lei ha voluto dire alle donne che, se fatta serenamente e con consapevolezza, la scelta dell'aborto non condiziona per il resto della vita. La ragazza è stata ricoperta di insulti, perché innanzitutto non bisogna abortire, ma se proprio lo si fa bisogna almeno accontentare la società portandosi addosso il senso di colpa e la vergogna per il resto dei propri giorni. Guai a vivere quel momento senza drammi, guai a voler decidere del proprio corpo in modo libero. Il caso dimostra quanto l'aborto sia un argomento molto stigmatizzato. L'argomento è delicato e raccoglie posizioni contrastanti, ma il problema non è il fatto che non la si pensi tutti allo stesso modo. Il problema sopraggiunge quando le opinioni vengono espresse in modo violento, senza rispetto nei confronti di chi la pensa diversamente e compie liberamente una scelta (tra l'altro senza infrangere alcuna legge). A volte sono proprio gli altri a rendere l'interruzione di gravidanza qualcosa di ancora più terribile, come è successo anche a una diciottenne di una scuola superiore di Piacenza.
Lo stigma dell'aborto persiste
Entrando in classe si è ritrovata il corridoio tappezzato di disegni di feti, chiaramente indirizzati a lei. La protagonista di questo increscioso episodio è una 18enne, una studentessa di una scuola superiore di Piacenza che qualche tempo fa ha abortito. La voce deve essersi diffusa nell'istituto e qualcuno ha ben pensato di accoglierla a scuola con scritte come: "Io feto, tu aborto", "Ho bisogno di aFfETto", "Mi hanno buttato in mezzo all'utero e ne sono uscito embrione". L'istituto ha disposto degli accertamenti, ma la notizia ha sconvolto non solo le persone vicine alla ragazza, bensì una comunità molto più ampia. Il fatto è rimbalzato sui social e ha riacceso un dibattito su una questione spinosa, che purtroppo non si riesce a risolvere. Perché la legge non c'entra: è questione di sensibilità, rispetto ed educazione, tutte cose che a quanto pare una donna che abortisce non merita.
Abortire e vedersi il dito puntato contro
Ancora persiste il continuo giudizio verso le donne che decidono di abortire, che vedono nei loro confronti una colpevolizzazione estrema. In alcune parti del mondo le donne ancora stanno lottando per quella che è una conquista della società moderna: la possibilità di scegliere, di autodeterminarsi, di decidere del proprio corpo, di esserne padrone. Ma l'Italia è un Paese dove c'è un prezzo da pagare, se vuoi esercitare questo tuo diritto. E la sofferenza che questa scelta comporta nel proprio intimo non basta. Va rinnovata giorno dopo giorno, va sottolineata, va ribadita, va ricordata e non per cercare di capire, per ascoltare, ma solo per giudicare. La società impone il senso di colpa e la vergogna alle donne che consapevolmente scelgono di interrompere una gravidanza. Che lo si superi dopo decenni, dopo pochi anni come Alice o mai, in ogni caso nessuna merita la gogna per una propria libera e sofferta scelta, col dito di chiunque perennemente puntato contro.