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Opinioni

Bullismo: dove nasce il disagio dei giovani e come affrontarlo? Il parere della psicologa

Ultimamente si sente parlare molto di bullismo nelle scuole e non solo. Da dove proviene tutta questa violenza? Qual è la causa? Cosa spinge un ragazzino a reagire violentemente nei confronti di un compagno o addirittura di un Professore? Attraverso il parere di una Psicologa e Psicoterapeuta cerchiamo di capire quali responsabilità hanno i genitori, la scuola e l’intera società e come poter fronteggiare il fenomeno.
A cura di Flavia Massimo
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Recentemente stiamo assistendo (nuovamente) a un’ondata di eventi di violenza e bullismo in diverse scuole italiane, dal Docente di Lucca minacciato da un alunno, al ragazzino di Lecce che ha colpito a calci un compagno; tutto questo ha sollecitato questioni vecchie e nuove sull’attuale disagio giovanile, sui ruoli e responsabilità della scuola e delle famiglie nell’eziologia del fenomeno. Ci si scaglia contro le famiglie di oggi, non sufficientemente adeguate a crescere questi figli “bulli” o con la Scuola che non fa nulla per prevenire fenomeni del genere, o con i Docenti non sufficientemente autorevoli e pronti a gestire e disinnescare reazioni aggressive e violente.

Bullismo tra gli adolescenti: che responsabilità hanno gli adulti?

Di fronte ad episodi così estremi che vedono protagonisti i minori è automatico riflettere sulle responsabilità che gli adulti di riferimento hanno nella crescita di bambini e adolescenti e nella trasmissioni di modelli educativi “positivi”. Il sociologo Bauman ha definito la società post-moderna come “liquida” cioè priva di certezze, il suo concetto aderisce perfettamente alla condizione di un adolescente oggi. Agli adolescenti di oggi mancano proprio queste certezze in quanto molto poco solidi sono i ruoli di genitori e Docenti, la comunicazione e di conseguenza le relazioni sono velocissime, fugaci e dunque molto impoverite, molto incerti infine sono i confini temporali dell’adolescenza stessa. Tutto ciò espone i giovani a nuove forme di disagio che segnalano questi cambiamenti.

Ma se è vero, come è vero,  che il disagio degli adolescenti non può prescindere dall’attuale  profonda fase di transizione che la società e dunque anche noi adulti stiamo attraversando, allora si pone in primo luogo la priorità di guardare a questi episodi in un’ottica d’insieme: essi sono solo la descrizione del disagio globale, e non un sintomo di quella determinata famiglia inadeguata o di quel determinato Professore che non ha saputo instaurare una relazione autorevole con quell’alunno. Seguendo questo approccio, se spostiamo la riflessione dal macro al micro, tutti i minori che siano vittime o bulli, hanno bisogno del sostegno di tutti i sistemi che ruotano attorno a loro e dunque della famiglia, della Scuola e del territorio che devono lavorare sinergicamente per prevenire e/o gestire il fenomeno.

Cosa può fare un genitore per prevenire o affrontare il bullismo

Se ci soffermiamo sulla famiglia, senza cadere nella generalizzazione in quanto ogni situazione è a sé,  cosa possono fare i genitori se un figlio è vittima o artefice di episodi di violenza e bullismo a scuola?

  • Predisporsi all’ascolto ponendo domande volte a capire meglio quanto sta accadendo e accogliendo il vissuto del figlio, pazientemente. Spesso i bambini che sono vittime non raccontano con facilità gli episodi perché se ne vergognano o perché temono che, parlandone, la situazione possa peggiorare in futuro; non di meno i “bulli” potrebbero non raccontare tutta la verità, minimizzando l’accaduto, per timore di essere puniti, ma anche perché non possiedono sufficienti strumenti emotivi per riconoscere le conseguenze del loro comportamento prevaricatore e violento.  Bisogna dunque fidarsi dei racconti, ma essere al contempo consapevoli che potrebbero esserci altri elementi da dover conoscere per avere una visione quanto più veritiera dell’accaduto.  E questo può avvenire solo se ci si rivolge alla scuola chiedendo maggiori informazioni volte a capire meglio e non ad accusare.
  • Se in famiglia si parla del fenomeno in generale, se si commentano i tanti episodi di cronaca, questo può aiutare i bambini e gli adolescenti  a riconoscere il fenomeno e a costruirsi un’idea propria guidati dai genitori.
  • Non credere di poter risolvere la questione da soli. Il bullismo è un fenomeno complesso e di natura relazionale e come tale deve essere affrontato guardando al contesto nel quale esso si manifesta e ai sistemi di relazioni in cui esso si rivela, come è noto, esso non riguarda solo una vittima e un carnefice, ma anche il resto dei compagni che hanno un ruolo attivo nel manifestarsi del fenomeno, questi ultimi possono infatti essere “sostenitori del bullo”, “difensori della vittima” o “maggioranza silenziosa”. Dunque contattare quanto prima i Professori e/o il Dirigente scolastico e cercare di trovare insieme una strategia per interrompere immediatamente gli episodi e mettere a sistema misure di prevenzione. La scuola, la famiglia e il territorio ognuno con i propri strumenti e nei confini dei rispettivi ruoli, deve fare la sua parte.
  • A rivolgersi alla famiglia del bullo, accusandola di non essere una “buona” famiglia chiedendogli provvedimenti contro il figlio, si rischia di innescare un conflitto ancora più violento e di spostare l’attenzione dal disagio dei figli ad un conflitto tra adulti ben più pericoloso.

In linea generale bisogna cercare di capire come accogliere questi bambini e adolescenti, di fargli conoscere che ci sono alternative alla violenza e alla sopraffazione; la punizione fisica dei genitori e/o quella di allontanamento disciplinare attuata dalla Scuola, potrebbe forse essere (nel migliore dei casi) un piccolo deterrente, ma ha una durata molto breve e purtroppo non fa altro che cronicizzare una situazione di conflitto molto complessa che già non ha trovato una soluzione alternativa alla violenza. Questo non significa giustificare i comportamenti violenti. Rispondere alla violenza con la punizione o l’allontanamento è la cosa più automatica da attuare, per molti rappresenta la chiave per la risoluzione, ma essa non funziona e non ha mai funzionato come principio educativo, perché di fatto non lo è. Dunque necessitiamo di ciò che in molti contesti si tenta di fare: attuare strategie alternative nello stesso contesto, diverse figure professionali che si supportano vicendevolmente, una comunità educante (famiglia – scuola – territorio) che si responsabilizzi e che si attivi coscientemente per le generazioni future. E questo sì, questo è l’unico modo che abbiamo.

Articolo a cura di Flavia Massimo, Psicologa e Psicoterapeuta, esperta in Dinamiche Relazionali e Familiari e nell'Educazione ai Diritti Umani

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Flavia Massimo laureata nel 2008 in Psicologia Clinica e dello sviluppo presso la Seconda Università degli studi di Napoli e specializzata in Psicoterapia ad indirizzo sistemico relazionale. Svolge a Napoli attività clinica privata; dal 2009 ad oggi lavora nel sociale per Associazioni ONLUS dove si è occupata di inclusione sociale per minori a rischio in ambito scolastico ed extrascolastico; è Esperto Formatore per i Diritti Umani e per i diritti dei bambini e adolescenti e ha svolto attività di formazione e prevenzione in progetti di inclusione sociale a Napoli e provincia e in alcune città della Romania. Attualmente lavora in un Programma di Save The Children Onlus in ambito scolastico per il quale si occupa di sostegno alla genitorialità e di educazione ai diritti umani e presso un Ente di formazione accreditato al MIUR per il quale svolge attività di formazione sulle Soft skills e sulla prevenzione del disagio giovanile rivolta a Docenti di Scuole di ogni ordine e grado.
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