Addio Pierre Cardin: dagli abiti lunari al bubble dress, le icone dello stilista che vestì i Beatles
Stilista visionario e innovatore continuo: Pierre Cardin è scomparso il 29 dicembre a 98 anni. Per tutta la sua lunga carriera ha tenuto gli occhi puntati sul futuro: le sue collezioni "spaziali" ispirate agli astronauti, con caschi e stivaloni, hanno scritto la storia della moda. Celebri anche i vestiti con le bolle o tridimensionali, che strizzavano l'occhio all'architettura, giocando con volumi e materiali. Pierre Cardin ha legato il suo nome agli anni Sessanta: fu lui a rifare (letteralmente) il guardaroba ai Beatles e con Courrèges e Mary Quant fu tra i primi a disegnare minigonne e a farle sfilare in passerella.
La carriera di Pierre Cardin da Schiaparelli ai Beatles
La carriera del giovane Cardin iniziò con Elsa Schiaparelli, la visionaria della moda che ne intuì il talento, prima del passaggio da Christian Dior. Quando si mise in proprio trovò un modo insolito (ma molto efficace) di farsi pubblicità: disegnò i costumi per il ballo in maschera organizzato a Venezia da Carlos de Beistegui del 1951, quello che verrà ricordato come "l'evento mondano del secolo". La sua carriera fu tutta giocata su un doppio binario: da una parte la moda democratica che tutti potevano portare, dall'altra i modelli sperimentali d'avanguardia, che univano estro ed eccentricità. Per questo, quando il produttore Brian Epstein decise di cambiare look ai Beatles si rivolse a Cardin, che disegnò per loro pantaloni aderenti e giacche senza collo. Ma la sua modernità continuò ben oltre gli anni Sessanta: fu tra i primi a sperimentare con la moda genderless, uguale per tutti.
Gli abiti iconici "futuristici" e tridimensionali
L'avanguardia dello stile di Cardin si traduceva in forme geometriche, a cui dava vita giocando con tessuti e volumi: era in grado di creare gonne sferiche, pullover a bozzolo e abiti tridimensionali. La forma prendeva il sopravvento sul resto, perfino sul corpo. Nel 1954 lancia la sua creazione più famosa, il Bubble Dress, che si ispira al Palais Bulles ("Il palazzo delle bolle"), progettato dall'eccentrico architetto Lovag Antti. In piena corsa allo spazio, quando tutto il mondo sognava ancora lo sbarco sulla luna, Cardin lanciò collezioni che si ispiravano al mondo degli astronauti: cappelli bianchi che sembravano caschi, stivali altissimi argentati, gonne rigide dal taglio futuristico e occhiali avvolgenti come mascherine. Due modelli su tutti: i completi "Cosmocorps" e gli abiti a oblò, con l'intarsio tondo centrale. Sperimentò con i materiali, creando vestiti interamente fatti in pvc e accessori in metallo, come cinture e intarsi degli abiti.
Nemmeno nelle sue sfilate più recenti Cardin aveva perso il gusto per le forme e i volumi: in passerella le sue modelle hanno sempre indossato abiti a elica, a spirale, a tronco di cono o con maxiruches. Il modello svasato a "A", tipico degli anni Sessanta, è rimasto un suo caposaldo, così come la geometria e gli abiti che diventano sculture di tessuto, creazioni architettoniche. La donna di Cardin fa un'affermazione precisa: sono io che porto l'abito, non il contrario. Lo scorso anno New York ha omaggiato la sua lunghissima e visionaria carriera con una mostra intitolata "Pierre Cardin: la moda del futuro".
I costumi per il cinema
Pierre Cardin ha legato il suo nome alla musica, grazie ai Beatles, ma fu anche un eccellente costumista per il cinema e per il teatro. Nel 1946, per esempio, disegnò i costumi della "Bella e la bestia" di Jean Cocteau. Vestì Jeanne Moreau per il film "Jeanne la française" e poi nel ruolo di Mata Hari nel film "Agent H21" del 1964. Disegnò anche gli abiti di Marina Vlady nel film "La principessa di Clèves". Nelle interviste ricordava sempre si aver imparato da mostri sacri come Christian Bérard, Marcel Escoffier e l'italiano Piero Tosi: leggende del costume. Ma vestì i protagonisti del cinema anche fuori dal set: conosceva Luchino Visconti, Lucia Bosè, Anna Magnani, Sophia Loren. Un'ulteriore testimonianza del suo legame con l'Italia, che non lo aveva mai abbandonato.