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Abiti fatti con mele, arance e funghi: moda sostenibile e alternative a pelli e materiali inquinanti

Materiali realizzati a partire da mele, funghi, foglie di ananas: la moda si sta attrezzando per portare il settore in un nuovo livello, più rispettoso verso la natura e gli animali. Le alternative etiche e sostenibili alla pelle animale sono entrate a far parte delle logiche produttive di diversi brand. In Italia, per esempio, c’è un’azienda che produce tessuti sostenibili a partire dai sottoprodotti delle arance.
A cura di Giusy Dente
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I rifiuti possono diventare una vera e propria risorsa produttiva. Proprio a partire dai prodotti di scarto il settore tessile è riuscito a trarre delle novità interessanti e rivoluzionarie, utili per far progredire la moda verso una sostenibilità sempre crescente, nel massimo rispetto del pianeta, dell'ambiente e degli animali. Ormai ci sono molte alternative alle pelli e alcune di queste derivano da materie prime davvero impensabili. Le alternative vegetali sono una realtà che sta prendendo sempre più piede: esistono materiali tessili realizzati a partire dalle mele, dall'ananas e persino dai funghi.

Tessuti vegetali, un'alternativa etica e sostenibile

Dalle foglie di ananas che altrimenti verrebbero bruciate o lasciate marcire si possono invece trarre delle fibre utili per la realizzazione di un tessuto ormai comunemente usato nel settore moda. Questa è forse l’alternativa vegetale alla pelle più gettonata, usata anche da marchi come Hugo Boss, H&M, Paul Smith, Trussardi. E tra i materiali eco-responsabili spicca anche la pelle a base di micelio (una parte del fungo formata da filamenti rinnovabile all’infinito). Stella McCartney e Adidas l'hanno già adottato. E che dire delle mele: anche da questi frutti si può ricavare un materiale organico da impiegare in alternativa alla pelle animale. È stato usato anche da Tommy Hilfiger. Ma la natura offre moltissime altre risorse per i nostri accessori e vestiti del domani: dall’uva agli scarti del mais fino alla pelle ricavata dai fondi di caffè e dalle arance. Proprio questo frutto è il protagonista del tessuto realizzato dall'italiana Orange Fiber. L'azienda è riuscita a vedere un tessuto sostenibile dove altri vedevano solo un’arancia. Enrica Arena, la co-founder, ha raccontato a Fanpage.it come è nato questo progetto e come si sta evolvendo nel tempo la moda sostenibile.

Top della Conscious Exclusive Collection 2019 di H&M realizzato con Orange Fiber
Top della Conscious Exclusive Collection 2019 di H&M realizzato con Orange Fiber

Il caso italiano: Orange Fiber, come ricavare un tessuto da un'arancia

Orange Fiber è l'azienda italiana nata nel 2014 che ha brevettato e produce tessuti sostenibili dai sottoprodotti agrumicoli. La prima parte della trasformazione avviene in Sicilia. Qui c’è il processo di estrazione della cellulosa che viene prima mandata in Spagna per essere trasformata in filato e poi rientra in Italia dove viene trasformata nel prodotto finito: un tessuto sostenibile di alta qualità, di colore bianco, che può poi essere colorato, stampato e lavato alla pari di qualunque altro tessuto già sul mercato. Nel 2017 è stata realizzata la prima collezione moda con i tessuti dell'azienda, la Ferragamo Orange Fiber Collection. Poi è stata la volta della Conscious Exclusive 2019 del colosso svedese H&M. Nel 2020 ha invece debuttato CENTOCINQUE, la collezione in limited edition di cravatte sostenibili realizzate dallo storico brand di sartoria napoletana E.Marinella. Ne abbiamo parlato con Enrica Arena, co-founder dell'azienda, che ci ha spiegato quali possibili direzioni prenderà la moda nei prossimi anni, alla luce della presa di coscienza dell'importanza della sostenibilità e della crescente attenzione su questo tema da parte dei brand.

Come è nata l'idea di attingere dagli agrumi per produrre un tessuto?

L'idea di partire dagli agrumi è stata di Adriana Santanocito, ideatrice di Orange Fiber e co-fondatrice con me dell'azienda. Siamo entrambe siciliane, la sua volontà era poter applicare quello che aveva imparato e studiato a Milano sul mondo della moda alla nostra terra. Per farlo ha pensato a un frutto che rappresenta un'eccellenza del Mediterraneo e della Sicilia: l'arancia. Da lì studiando e approfondendo la questione delle aziende che producono il succo di arancia è venuto fuori che c'è uno scarto, un sottoprodotto disponibile per essere utilizzato. C'è stata l'intuizione di usare l'arancia, c'è stata la possibilità di effettuare dei test su questa idea attraverso il Politecnico di Milano dove ne è stata verificata la fattibilità e poi c'è stato tutto il processo di creazione dell'impresa. 

Il vostro materiale per cosa viene impiegato? A quali mercati vi rivolgete?

Il materiale che facciamo viene utilizzato in questo momento soprattutto per il mondo della moda, è un tessuto utilizzato dai brand per realizzare capi. Il nostro primo cliente era italiano ma con distribuzione internazionale, il secondo è svedese con distribuzione internazionale anche lui. 

Quali sono i vantaggi di utilizzare tessuti sostenibili? 

Il vantaggio è non andare a sovraccaricare il nostro pianeta con l'uso intensivo di risorse. L'industria della moda è una delle più inquinanti che esista se andiamo a considerare l'estrazione delle materia prime, la loro trasformazione, la loro colorazione, la logistica e poi la distribuzione e anche il fine vita del prodotto. Andando a utilizzando un materiale che comunque sarebbe dovuto essere smaltito, perché è post consumo alimentare, andiamo a ridurre l'impatto sulle risorse del pianeta sia in termini di mancato smaltimento (perché lo riutilizziamo) sia in termini di mancato uso di altre risorse come cotone, seta, tessuti derivanti dal petrolio.

Ci sono anche vantaggi per le aziende quindi?

Sì assolutamente, perché normalmente questo sotto prodotto va gestito e smaltito, invece noi lo recuperiamo e lo valorizziamo.

Cos'è il concetto del lusso 3.0?

È un nuovo modo di interpretare il lusso, che non si lega solo al designer che va a definire linea e stile del prodotto: è un lusso che si basa sul materiale, sul fatto che sia un materiale prezioso non in quanto tale, ma perché virtuoso nei confronti. Quindi lusso verso sé stessi e inteso anche come attenzione verso il prossimo e il pianeta.

Nel comparto moda-lusso c'è adeguata attenzione all'argomento o si può fare di più?

La sostenibilità è un percorso che oggi hanno iniziato, a modo loro, praticamente tutti i brand che conosciamo. Sta poi alle scelte strategiche di ciascuno come farlo e con che velocità. Sicuramente si può fare di più, ma già il fatto che tutti si stiano muovendo in questa direzione e non sia solo un trend passeggero è un segnale, ma anche una scelta strategica. Perché cambiare le materie prime e la logistica, stare più attenti alle intere filiere è una scelta che non può accadere dalla sera alla mattina. Richiede pianificazione e strategia. Una volta che si intraprende quel percorso servono anni per evolverlo e portarlo a compimento. Poi diventerà qualcosa di assolutamente parte del sistema. 

Questa attenzione come è diventata da trend passeggero a vero e proprio atto di consapevolezza?

Credo che sia iniziato col cibo, con il biologico, col chilometro zero. Abbiamo iniziato a chiederci da dove viene quello che mangiamo, come viene coltivato, chi lo coltiva? Questo nuovo modo di vedere a come ci nutriamo si è spostato a come ci vestiamo. Sia da un punto di vista egoistico: i materiali a contatto con la mia pelle sono sintetici, sono pericolosi, sono naturali o particolarmente pregiati? Ma è anche un discorso generale altruistico: l'abito che compro è dannoso per gli animali, per le acque oltre che per me stesso? 

Oltre all'attenzione alla sostenibilità, come immaginate la moda del futuro?

Molto più digitale in termini di accesso al prodotto, acquisto e fruizione. Quello che osservo è che prendono piede il rental, il noleggio degli abiti ma anche la donazione. Da un lato assisteremo a produzioni ridotte in termini di quantità, perché si ordinerà online e si riceverà il prodotto esattamente come lo si desidera. Il negozio diventerà un punto di passaggio dove provare il capo. Ma le filiere cambieranno completamente grazie al digitale e mi auguro che porterà meno sprechi, ma anche un nuovo modo di vivere le scelte: non in modo esclusivo. Ho comprato un a borsa, l'ho usata qualche anno: ok la rivendo o la noleggio. Oppure ho bisogno di un abito per una serata importante: lo noleggio a determinate condizioni di pulizia ovviamente e poi lo riporto. Così ho a disposizione un armadio illimitato di capi nuovi, ma che hanno un impatto sul pianeta sempre meno forte. 

Quindi anche sul riciclo si insisterà di più?

Assolutamente sì. Ci sono design di prodotti immaginati già per il riciclo. Nell'ambito dei materiali, che è quello che conosco un po' meglio, si stanno già sviluppando soluzioni per esempio per le cuciture delle cerniere o i fili con cui vengono fissati i bottoni al capo. A determinate temperature non raggiungibili in casa si dissolvono rendendo più facile poi il disassemblamento del capo e il riciclo meccanico o chimico. Sempre più vedremo il riutilizzo degli abiti che non utilizziamo più e che non possono essere riutilizzati da altri come fonte di materiale sia per la moda che per altri settori, per esempio gli isolanti per le case. 

La pandemia che tanto ha influito sulla moda può essere un modo per darle un nuovo corso, anche in chiave sostenibile?

Credo di sì, perché ho percepito un'attenzione crescente rispetto alla sostenibilità e alla sua concretezza. C'è sia una consapevolezza più diffusa e approfondita sull'importanza della sostenibilità (e anche sulle certificazioni). Credo che per tutti questa pandemia è stata un'occasione per ripensare all'impatto di quello che compriamo al supermercato, alla bottega vicino casa: abbiamo preso consapevolezza del nostro potere come clienti. Questo si rispecchierà e rispecchia anche nelle scelte di abbigliamento, che è una forma di espressione di noi stessi ma anche di valorizzazione del prodotto di qualità.

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