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Ho vissuto una settimana senza dire No ed ecco cosa mi è successo

Per spezzare la monotonia della vita quotidiana, ci basta modificare alcune nostre abitudini o comportarci, almeno per qualche giorno, diversamente dal solito. Ho deciso di provare a vivere una settimana senza poter dire No ed ecco che cosa mi è successo.
A cura di Zeina Ayache
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Ogni giorno pensi che vorresti andartene via? Allora fatti qualche domanda e inizia capire come cambiare il tuo presente perché c'è qualcosa che non va. Se invece solo ogni tanto pensi che ti piacerebbe vivere per qualche giorno una vita diversa e rompere la monotonia delle quotidianità, allora è sufficiente comportarti in maniera opposta rispetto a quanto sei abituato/a a fare. Dopo aver provato a relazionarmi con il mondo senza sorridere, senza reggiseno o senza soldi, adesso è giunto il momento di indossare i panni di una Yes-Woman per sette giorni. Ho così vissuto una settimana senza dire No ed ecco cosa mi è successo.

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Giorno 1

Il primo No del giorno di solito è rivolto alla sveglia, che viene scaraventata da qualche parte, ma che stoicamente mi ricorda dopo 5 minuti che non c'è possibilità di vittoria e che bisogna alzarsi senza lamentarsi. E così in questo primo giorno senza No provo l'ebbrezza di non alzarmi di corsa con il solito “belin che tardi anche oggi” e posso godermi la noia di una vita precisa fatta di orari e puntualità. Quindi è così rilassato chi vive senza rincorrere l'orologio?

Giorno 2

Mentre questo fatto del non poter ignorare la sveglia mi tormenta, il secondo giorno si dimostra faticoso sotto un altro punto di vista: quello alimentare. Nel solito bar in cui faccio colazione, dopo aver prenotato il solito cappuccino, mi viene chiesto “vuoi altro” e ovviamente Sì. Mi ritrovo a dover mangiare un pancake con uova strapazzate, creamcheese, marmellata di mirtilli e sciroppo d'acero, il tutto accompagnato dall'immancabile cappuccino e dallo sguardo divertito dei baristi che oggi probabilmente pensano che io stia tentando di superare una sbronza storica. Potete immaginarvi il desiderio di antiacidi.

Giorno 3

Alcune persone, quelle che mi conoscono meglio o che mi frequentano di più, si accorgono che sono diversa, ad esempio accetto ogni caffè che mi viene offerto pur non bevendone mai (vi lascio immaginare le condizioni del mio stomaco, del mio fegato e, soprattutto, del mio sistema nervoso già provato dall'allergia). Dopo insistenti domande non posso che dire la verità. La consapevolezza che gli amici ora siano a conoscenza del mio divieto assoluto di dire No mi preoccupa, non oso immaginare cosa mi faranno fare. "Vuoi prenderci l'aperitivo?", mi chiedono i colleghi e ovviamente Sì! Al momento del conto però non riesco ad offrire nulla, in qualche modo devo avergli fatto pena. Peccato!

Giorno 4

Agli obblighi alimentari si aggiungono quelli sociali. Per una persona solitaria come me accettare ogni invito ad interagire diventa una sfida che in realtà mi rendo conto di cogliere volentieri. Saranno le enormi quantità di zuccheri che sto ingurgitando, misti alle birre e al caffè, ma dire qualche Sì in più inizia a sembrarmi positivo. Il tutto procede per il meglio, se non fosse che mi viene chiesto di indossare un paio di tacchi, così vado a scavare tra i repertori storici della mia scarpiera e l'unica scarpa che trovo è quella indossata 8 milioni di anni fa al matrimonio di mio fratello: una décolleté tacco 12 di seta blu, robetta facile da abbinare. Utilizzo i tacchi con talmente poca cura che erano ancora sporchi di fango dal giorno del fatidico Sì. Dico Sì anche io e salgo in bici con i trampoli. Il giornalaio mi guarda e mi ride in faccia, spudoratamente. Non vi dico il rischio di trauma cranico e danni cerebrali, misti a storte e polsi rotti ad ogni semaforo. Ad ogni modo riesco a raggiungere la redazione, mentre nella mia testa continuo a chiedermi come facciano le altre donne ad indossare queste torture ogni giorno. La giornata procede con un divertente aperitivo, irrinunciabile, e si conclude a piedi scalzi nel locale. Ho perso ogni tipo di pudore, ma almeno oggi non ho pestato cacche: che ad attirarle siano le scarpe da ginnastica?

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Giorno 5

"Un tuffo devo l'acqua è più blu"! Sono i primi giorni di maggio, il caldo vero ancora non si è fatto sentire, però in questa giornata di sole sono al mare. No, non ho voglia di tuffarmi, ma devo farlo. L'acqua è gelida e gli scogli sono taglienti. Forse mi sono ferita, ma grazie a questa settimana ho battuto il mio record di "bagno più veloce di sempre": 4 secondi tra tuffo e risalita. Non male.

Giorno 6

Ormai dire Sì è scontato e inizia a non bastarmi ciò che mi viene chiesto. Mi accorgo di essere delusa dalla settimana che sto vivendo, vorrei che mi venisse chiesto qualcosa di più originale, di più divertente, qualcosa a cui davvero vorrei dire No. Questo mi fa capire come spesso quando ci neghiamo agli altri in realtà stiamo solo negando a noi stessi. Allo stesso tempo penso che se avessi fatto questo esperimento a 20 anni probabilmente sarei morta di una morte tragica (e comica). Che vecchiume!

Giorno 7

“Posso farle una domanda?” – “Certo”. È successo così, all'improvviso, alle 8 di mattina, e non ho potuto dire No: ho incontrato i testimoni di Geova. La signora in questione mi ha spiegato, aprendo e richiudendo i volantini, che Satana è ovunque. Non ho capito in che modo e perché, ma è ovunque. Devo dire la verità, quando indicando il mio cane ha detto “Lo sai che i cani sono creature del Signore proprio come gli esseri umani?” mi ha quasi convinta: che i testimoni di Geova siano antispecisti? Una trovata comunicativa degna del miglior markettaro alla quale però non è seguita altra argomentazione. Ho così provato a farle qualche domanda, per capire meglio la questione “Geova”, ma la signora rimaneva sul vago e cercava di andarsene. Io volevo saperne di più. Lei voleva solo lasciarmi il volantino. È finita nel peggiore dei modi: “Signorina mi scusi, ma devo andare”. Vi giuro, una testimone di Geova mi ha dato picche. Piena di domande, mi sono arresa all'idea che non ci sono più i testimoni di Geova di una volta.

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La settimana termina con un paio di chili in più, un costante mal di pancia e una consapevolezza: da domani mi accorgerò di tutte le volte che dirò No e mi chiederò se davvero sia la risposta corretta da dare.

Mangiare e bere cose di cui faresti a meno, offrire drink, colazioni, caffè, pranzi o cene, uscire quando non si avrebbe voglia, assecondare le persone a cui vuoi bene, indossare i tacchi alti e andarci in bicicletta, non utilizzare l'ombrello o il cappuccio durante un diluvio sono solo alcune delle cose che mi sono ritrovata a fare in questa settimana senza No (altre purtroppo non sono riuscita a portarle a termine per mancanza del dono dell'ubiquità, come preparare una focaccia al farro al mio collega) e che mi hanno permesso di capire alcuni aspetti inesplorati della socialità. Sicuramente mi aspettavo di più da queste giornate, come dicevo pensavo che avrei avuto esperienze più interessanti da raccontare, dagli stessi testimoni di Geova pretendevo qualcosa di meglio di una chiacchierata di 30 secondi.

A quanto pare però avere a che fare con qualcuno che deve dirti sempre Sì non è stimolante come potremmo pensare. La frase che mi veniva ripetuta più spesso, quando non potevo negarmi, era “no dai veramente, a parte il fatto che non puoi dire no, ti va?”. Ho capito che non sempre essere assecondati provoca piacere, che un rifiuto può essere ancor più stimolante per il nostro interlocutore. Eppure, mentre intorno a me mi veniva chiesto di fare una pausa dell'esperimento, io volevo sempre più dire Sì. Vi consiglio caldamente di provare a vivere almeno 24 ore senza dire No. La comodità della rinuncia è innegabile, ma il brivido (per quanto limitato) di poter agire contro il proprio volere è ineguagliabile e ai limiti della dipendenza, tanto che tornare indietro diventa difficile.

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