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Opinioni

Denudarsi contro il femminicidio? Una deformazione creata dai media

Mettersi in intimo e fare la morale ai giudici non vuol dire sostenere le ragioni del femminismo. Anzi, rendere “seducente” una campagna contro il femminicidio vuol dire sostenere la visione patriarcale della donna oggetto.
A cura di Sabina Ambrogi
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In che modo il femminismo è alterato dalla comunicazione e produce danni peggiori di quelli che vuole contrastare? Una prova esemplare la fornisce il progetto di un fotografo di modelle, Antonio Oddi, che vuole “sensibilizzare l'opinione pubblica contro il femminicidio”.

Il progetto consiste nel mandare ventimila cartoline ai giudici (secondo lui sarebbero i responsabili, se i crimini continuano a prodursi) e al loro “capo”, la ministro di Giustizia Anna Maria Cancellieri. L'assurda protesta ideata dal fotografo di Avezzano non include in nessun modo, ad esempio, raccolte di testimonianze di donne che hanno subito violenze, o ancora meglio, testimonianze di uomini che si stanno riscattando dalle sopraffazioni violente che hanno fatto subire alle loro partner, magari grazie a percorsi di recupero. Si tratta invece di Giorgia Giannandrea, 19 anni, ex miss Intimo 2013, ritratta  – ovviamente – vestita di sola biancheria intima: lei che telefona maliziosa, lei su una scaletta, poi su uno sgabello, alcune foto la ritraggono con un paio di occhiali da vista, così tanto per fare intellettuale. Questo sarebbe il suo progetto contro il femminicidio e contro la violenza sulle donne “affinché si affronti in modo serio ed efficace il problema”.

Si può immaginare la faccia di un pubblico ministero (spesso sono le donne che si occupano dei casi di violenza su altre donne) o una presidente di Tribunale che si vede recapitare la cartolina con una ragazza in mutande e reggiseno “per combattere il femminicidio”. Oltre al solito evidente ribaltamento di significati del ventennio berlusconiano: la colpa è dei giudici e non degli imputati.  Quindi sono loro che vanno sensibilizzati e non, magari, inventare una campagna contro la violenza maschile. La colpa che è dei giudici e dello stato continua anche nelle dichiarazioni della ragazza: "Quello del femminicidio è un fenomeno orribile"  ha detto in un'intervista a un giornale locale:

Purtroppo in Italia noi donne non siamo neanche abbastanza tutelate,basti pensare alla leggerezza con la quale lo Stato lascia passare fenomeni di violenza, stalking e altro, non prendendo seri provvedimenti subito, ma aspettando sempre che accada qualcosa di più grave.

Giorgia Giannandrea, la cui confusione è giustificata solo grazie alla giovanissima età (ed è per questo che è molto grave la responsabilità del fotografo), osserva anche:

Secondo me la violenza sulle donne si manifesta anche per l'idea che gli uomini hanno di noi, si sentono superiori e padroni, tanto da considerarci di loro proprietà e poi in caso di una relazione finita, o per eccessiva gelosia arrivano ad atti estremi come l'omicidio. Sono contenta del fatto che stiano nascendo sempre più associazioni a sostegno delle donne, per aiutarle a reagire o semplicemente per far sentire la nostra voce. Io stessa ho deciso di partecipare a questa campagna che trovo un progetto di sensibilizzazione davvero utile, per esprimere la mia su un tema così delicato.

E come intende sensibilizzare per farsi ascoltare? Facendosi appunto ritrarre in mutande. Che secondo lei, sarebbe, non il modello patriarcale unico di rappresentazione femminile, ma una   trasgressione. E se la continua e ossessiva rappresentazione delle donne sempre nello stesso modo,   proposto dai media e dal marketing non è certo causa della violenza di per sé, non aiuta in nessun modo l'immaginario maschile del violento. Ancora meno, serve a sensibilizzare semmai a ridire la stessa cosa. Ma ipocritamente.

Le  Femen hanno fatto a lungo scrivere e discutere circa la loro ambiguità di captare  l'attenzione  dei media con le chiassose performance in luoghi non convenzionali, scrivendosi sul torso nudo degli slogan contro la società patriarcale. Il progetto delle cartoline con ragazza in mutande non lascia neanche l'ombra del dubbio. Si tratta di un capovolgimento dell'obiettivo di denuncia che si prefigge: captare l'attenzione per denunciare una questione culturale che ha nella rappresentazione delle donna come merce per attirare click, ascolti, politica, negoziati e scambi, uno dei punti di discussione fondamentali. Se non quello privilegiato.

L'argomento è più complesso di quanto questo episodio marginale mostra. E' figlio non solo della furbizia poco lungimirante del fotografo, ma di quanto i media italiani, in particolare dopo lo tsunami berlusconiano, abbiano letto le reazioni delle femministe come una forma di moralizzazione. E di quanto poi per unire l'attualità del tema sulle donne, perfino quando si tratta  della più grande delle sopraffazioni, il femmincidio, non si possa mai rinunciare alla solita tipologia di materiale fotografico. Una specie di attaccamento paranoide e infantile che ci condanna a una perenne arretratezza, quasi quello di mettere a disposizione il proprio corpo, se pur in modo virtuale, per una donna italiana sia il solo modo per farsi ascoltare. Quanto tempo dovrà ancora passare?

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Autrice televisiva, saggista, traduttrice. In Italia, oltre a Fanpage.it, collabora con Espresso.it. e Micromega.it. In Francia, per il portale francese Rue89.com e TV5 Monde. Esperta di media, comunicazione politica e rappresentazione di genere all'interno dei media, è stata consigliera di comunicazione di Emma Bonino quando era ministra delle politiche comunitarie. In particolare, per Red Tv ha ideato, scritto e condotto “Women in Red” 13 puntate sulle donne nei media. Per Donzelli editore ha pubblicato il saggio “Mamma” e per Rizzoli ha curato le voci della canzone napoletana per Il Grande Dizionario della canzone italiana. E' una delle autrici del programma tv "Splendor suoni e visioni" su Iris- Mediaset.
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