Rifle, come è nato il mito dei jeans italiani e i motivi del fallimento
Per oltre sessant'anni i jeans Rifle sono stati uno status symbol, indossati dai paninari e da generazioni di ragazzi. Una storia di grande imprenditoria Made in Italy che ha progressivamente perso pubblico e appeal. A nulla sono serviti i tentativi di ristrutturazione, l'ingresso di un investitore svizzero o i nuovi brand ambassador, come il cantante Briga. Nella lunga storia di Rifle, l'azienda di jeans dei Barberino del Mugello, sono cambiati i gusti del pubblico, le mode, il modo di fare acquisti: alle difficoltà finanziarie alla fine si è aggiunto il Covid, che tra lockdown e crisi dello shopping ha dato il colpo di grazia alla storica azienda italiana. La parabola dei jeans italiani si è conclusa lo scorso ottobre, quando è stato dichiarato il fallimento. Ora gli ultimi pezzi raccolti dai negozi verranno svenduti per pochissimi euro: l'ultima occasione per possedere un pezzetto di una grande storia italiana, partita da un viaggio oltreoceano di due fratelli di Barberino del Mugello, a due passi da Firenze.
Il brand Rifle è nato da un viaggio negli Stati Uniti
La storia dei jeans Rifle inizia in Toscana, precisamente a Prato, nel secondo dopoguerra, grazie a Giulio Fratini, che comprava i vestiti usati dai soldati statunitensi per rivenderli a Prato. Lì scoprì la fabbrica Cone Mills, che produceva denim in Carolina del Nord: Fratini ci vide l'occasione imprenditoriale della vita. Decise allora di salpare insieme al fratello Fiorenzo verso gli Stati Uniti per iniziare a importare denim dalla fabbrica di Greensboro. Con il tessuto comprato oltreoceano i fratelli Giulio e Fiorenzo Fratini nel 1958 fondarono l'azienda di jeans a Barberino del Mugello, inizialmente chiamata Confezioni Fratini. Il nuovo nome – Super Rifle s.p.a – arrivava dalle casse dei fucili e doveva evocare all'orecchio italiano il mito della frontiera americana, il vecchio West e i cowboy. Il successo fu strepitoso: tra gli anni Settanta e Ottanta i jeans rifle diventarono uno status symbol. In un'intervista Lifestyle Moda Food l'amministratore delegato Franco Marianelli ha confermato che negli anni Settanta Rifle (insieme a Levis e a Wrangler) era il secondo marchio di jeans in Europa. Il brand cominciò a esportare all'estero, aprendo perfino un negozio in Russia alla fine degli anni Ottanta.
Le difficoltà del marchio Rifle e la crisi
Le difficoltà economiche dell'azienda iniziarono negli anni Novanta: il jeans non era più uno status symbol e le grandi catene di distribuzione erodevano il mercato delle boutique monomarca. Gli eredi dei due soci fondatori si separarono, investendo in gioielli e alberghi. Gli anni duemila si aprirono con un programma di riorganizzazione aziendale. Si cercò di rilanciare il brand, ormai decaduto, negli outlet e in altri Paesi. L'ultimo tentativo è stato quello di riposizionare il marchio nell'abbigliamento sportivo, lanciando linee di giubbotti, pantaloni, scarpe. A guidare l'impresa in questa ultima fase è stato chiamato Franco Marianelli, che aveva già lavorato per Guess Italia e Gas jeans. In quel periodo il brand ha fatto parlare di sé con i capi "personalizzati" per Alessia Marcuzzi (il modello con la scritta "Too sexy") e Maria Sharapova: una scelta controcorrente, visto che quasi tutti gli sponsor avevano scaricato la tennista accusata di doping. Nonostante l'ingresso di un investitore svizzero (la Kora Investement) il primo ottobre 2020 il tribunale di Firenze ha dichiarato ufficialmente il fallimento dell'azienda: i 70mila pezzi ancora invenduti potranno essere acquistati durante una eccezionale svendita a pochi euro. La data non è ancora stata annunciata, ma l'evento ha già suscitato l'interesse di collezionisti o semplici nostalgici in cerca di un'occasione.