«Ridicolo trattare le donne come una minoranza»: il femminismo di oggi che vive nella quotidianità
Parlare di emancipazione femminile è un qualcosa che ancora oggi non stanca mai, perché in mezzo secolo di femminismo, per quanto ci si illuda di aver conquistato la parità di genere, ancora si sente forte la necessità di fare qualcosa, che sia scendere in piazza per manifestare in nome dei propri diritti o prendere piccole decisioni nel quotidiano. Il Sessantotto per chi è nato negli anni Novanta ha sempre avuto i contorni indefiniti, un'epoca troppo lontana per poterne condividere i principi e gli ardori. Eppure a un certo punto qualcosa ha fatto riaprire la crepa e si è sentita di nuovo l’esigenza di parlarne ancora e con più forza. Basti pensare al recente caso Weinstein e al #MeToo che ne è seguito. Ma senza andare oltreoceano e guardando alla vita di ciascuna donna, si potranno notare delle seppur piccole manifestazioni di sessismo che ci accompagnano da quando siamo nate, a partire dal tabù sulle mestruazioni fino ai preconcetti in ambito sessuale.
Il femminismo di oggi raccontato dalle creatrici di Senza Rossetto
È così che è nato Le ragazze stanno bene, il libro scritto a quattro mani da Giulia Cuter e Giulia Perona, appena uscito in libreria. Esperta di marketing editoriale la prima e social media editor di Vanity Fair la seconda, per Cuter e Perona non è la prima volta che si trovano ad affrontare simili questioni. Nel 2016 decidono di lanciare Senza Rossetto, un podcast su femminismo, società e letteratura, nato con lo scopo di capire in che modo in tutti questi anni sia cambiata la concezione femminile, un dialogo che continua con il loro libro fresco di stampa. Con l'ironia della loro scrittura da un lato e con la serietà dei dati e delle ricerche raccolti dall'altro, Le ragazze stanno bene è un potente saggio-racconto che vuole raccontare le sfide che le donne sono chiamate ad affrontare e gli strumenti di cui, però, possono servirsi. Ne ha parlato con noi di Fanpage.it Giulia Cuter.
Dopo tre stagioni di Senza Rossetto, cosa vi ha spinto a scrivere Le ragazze stanno bene?
Senza rossetto è un progetto che ha un’anima letteraria da sempre, quindi l’idea era che un giorno questa cosa sarebbe potuta diventare un prodotto più propriamente editoriale, ma non volevamo semplicemente raccogliere le storie raccontante in questi tre anni. È stata una editrice di Harper Collins, Ilaria Marzi, a dirci di voler fare qualcosa con noi, poiché ci seguiva attraverso i podcast. Così, immaginandoci questo libro, abbiamo pensato di raccontare come noi ci siamo avvicinate a questi temi, e soprattutto perché a un certo punto della nostra vita, quando eravamo già abbastanza grandi, abbiamo sentito l’esigenza di parlare nuovamente di questioni di genere, ma declinandole sulla nostra esperienza personale. Così è nato questo libro, che è principalmente un saggio, poiché la parte più corposa è formata da dati e ricerche, che racconta frammenti della nostra vita che possono essere condivisi da tutte.
È ancora forte l’esigenza di parlare di femminismo e di lottare in nome di esso?
Non è colpa di nessuno, ma tutte più o meno siamo cresciute e continuiamo a vivere in una società che ha regole precise e che conserva determinati stereotipi. Anche noi stesse probabilmente conserviamo una parte di maschilismo, siamo cresciute così ed è normale che lo sia. Un primo passo, però, è applicare queste piccole rivoluzioni a partire dal nostro quotidiano. Le tappe che raccontiamo seguono per lo più l’ordine cronologico di quello che dovrebbe avvenire nella vita di una ragazza. Per noi il femminismo deve diventare un movimento comune, una pratica attiva. Le cose non si cambiano da sole.
Il femminismo viene spesso ed erroneamente definito come il movimento di quelle donne che vogliono imporsi sugli uomini. Ma la lotta vera ha a che fare con la parità e l’uguaglianza.
Ci auguriamo che il femminismo di cui parliamo nel libro possa diventare uno strumento anche per gli uomini e per una loro eventuale liberazione. Noi donne abbiamo affrontato questo processo nel corso degli anni, lo hanno fatto le nostre nonne e le nostre mamme prima di noi, e le femministe storiche. Ma è arrivato il momento in cui ce ne serviamo per mettere in discussione tutti i ruoli pensati e imposti dalla società, con la speranza che tutto ciò possa arrivare a interessare anche gli uomini. Negli ultimi tempi, ad esempio, il femminismo sta facendo i conti con l’idea di mascolinità e con quegli stereotipi che ingabbiano anche il genere maschile. L’altro augurio che ci facciamo è che il femminismo diventi sempre di più un movimento per i diritti civili delle persone e che quindi la sua storia vada a incrociarsi con quella di altre minoranze. Sebbene sembri ridicolo parlare di donne come di un minoranza, spesso è così che siamo trattate. Quello di cui parliamo resta comunque un femminismo parziale, poiché riguarda noi due ragazze di 30 anni, italiane, bianche, eterosessuali, nate in una parte del mondo fortunata. Di questo ne siamo consapevoli.
La vostra piccola battaglia verso la parità di genere parte già dalla copertina. Qual è il suo significato?
Valeria Petrone è l’illustratrice selezionata dall’editore, ci è piaciuta tantissimo e siamo felici che sia stata lei a disegnarla. L’idea che ha avuto è stata quella di rappresentare una ragazza scanzonata, che riflette ben il tono positivo del nostro libro, impegnata a fare un pallone con la chewing-gum e a cavalcare una tigre che da un lato simboleggia la potenza, dall’altro la capacità di domare situazioni complicate e di reagire alle cose che non funzionano.
Il libro è uscito a pochi giorni dalla Festa della Donna. Non si tratta di una scelta casuale, giusto?
Il lavoro editoriale è stato molto lungo, il libro era pronto per questo periodo ma ovviamente abbiamo scelto di farlo uscire proprio in questi giorni perché ci sembrava una data simbolica, un bel modo di cominciare e che riflette anche un po’ quello che abbiamo sempre raccontato. Il significato della Festa della Donna viene spesso strumentalizzato, come del resto accade per tutte le altre date simboliche. Ma ha un valore forte sempre. Pensiamo alle mimose. Una delle interpretazioni che riguardano questa usanza è che fossero i fiori che i partigiani regalavano alle donne partigiane, perché si trattava di una pianta povera e che e si trovava ovunque. Mi fa sorridere quando alcune femministe dicono di non volerle assolutamente ricevere in dono. Si tratta alla fine di una stratificazione sociale, poiché la mimosa nell’immaginario collettivo è diventata il simbolo della Festa della Donna e in quanto tale viene spesso strumentalizzata. Resta il fatto che io lo considero un fiore bellissimo.
Se è vero che la Festa della Donna capita una solo volta l'anno, durante il resto del tempo non dobbiamo fingere che tutto vada bene e che gli stereotipi imposti dalla società si superino da soli. A volte basta semplicemente trovare il coraggio di agire, di dire mestruazioni in pubblico o di prendere la pillola anticoncezionale senza nascondersi. Essere giovani donne non è semplice ma è decisamente meno complicato di quanto pensiamo. E se desideriamo che le cose cambino davvero, forse dobbiamo prima trasformarci noi. «Non sarà un viaggio semplice, perché spesso non è semplice essere una giovane donna, ma di certo gli strumenti non mancano. Tutto sommato, le ragazze stanno bene».