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Primark, file all’apertura nonostante il Covid: ma perché non aprono lo shop online?

Primark ha aperto un nuovo store nel centro commerciale Maximo di Roma. Nonostante la pandemia continui a preoccupare, fin dalle prime ore del mattino si sono venute a creare file chilometriche all’ingresso. Perché questo brand piace così tanto e, nonostante sia in crisi, continua a dire no alle vendite online?
A cura di Valeria Paglionico
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Ogni volta che apre un nuovo store Primark ci ritroviamo sempre di fronte alla stessa scena: file chilometriche all'ingresso, scene di panico nei camerini, shopping bag stracolme e clienti alle casse alle prese con i sensi di colpa per aver esagerato con le spese pazze (e low-cost). All'inaugurazione del nuovo negozio nel centro commerciale Maximo di Roma è capitato ancora una volta tutto questo, con l'unica differenza che ora le centinaia di persone in coda per ore fin dalle prime ore del mattino hanno sfidato ogni tipo di restrizione, in barba a lockdown e divieto di assembramento. Per quale motivo la voglia di accaparrarsi l'ennesimo abito o accessorio trendy supera la paura del contagio da Covid-19?

Perché Primark piace così tanto?

Cosa rende Primark così tanto desiderabile da spingere milioni di persone a sfidare ogni regola pur di darsi allo shopping folle? Innanzitutto la vastità della sua offerta, contraddistinta da abiti, accessori, prodotti beauty e per la casa low-cost e sempre all'ultima moda. In pieno stile fast fashion, il catalogo viene rinnovato con una certa frequenza, spingendo i clienti a lanciarsi a capofitto su un determinato prodotto, visto che alla successiva visita allo store quel "capo dei desideri" potrebbe essere stato già ritirato. A creare il maggiore appeal, però, non possono che essere i prezzi stracciati e le offerte speciali in ogni periodo dell'anno. È risaputo, infatti, che Primark non aderisce a iniziative promozionali come il Black Friday poiché i suoi prezzi sono già iper competivi senza ulteriori sconti.

Il motivo per cui vende a prezzi stracciati

Quello che tutti si chiedono, però, è: per quale motivo, a parità di qualità degli abiti e degli accessori, i prezzi di Primark sono più bassi di qualsiasi altro colosso dell'abbigliamento low-cost? Tutto è dovuto al processo produttivo utilizzato, legato al concetto di economia di scala. Questo significa che, dato che ogni capo viene realizzato in elevate quantità, il prezzo può rimanere contenuto. Ogni filiale, infatti, acquista quel prodotto all'ingrosso e questo gli permette di lasciare invariata la cifra sul cartellino. Come se non bastasse, l'azienda non investe in campagne pubblicitarie e riduce al minimo le spese legate agli stipendi dei dipendenti, facendo lavorare pochissimi impiegati in ogni store.

Perché Primark non vende online

Basta andare su qualsiasi canale social di Primark per rendersi conto del fatto che sono migliaia i clienti che chiedono perché non viene lanciato un e-commerce del brand, così da andare incontro a tutti coloro che non vivono nelle vicinanze di uno degli store. Se fino a qualche tempo fa i clienti affezionati erano disposti anche ad affrontare lunghi viaggi pur di recarsi in uno dei negozi sparsi per l'Europa, ora in tempi di pandemia e di zone rosse per alcuni è diventato impossibile fare shopping da Primark. Nonostante ciò, l'azienda continua a dire no alle vendite online. Il motivo è molto semplice: al motto di "non comprate i nostri abiti online ma nei negozi", la catena di abbigliamento vuole sostenere delle abitudini ecologicamente sostenibili. George Weston, il titolare di Primark, ha spiegato che la vendita in-store è molto meno inquinante dell'online, che implica l'uso di aerei, furgoni e trasporti decisamente poco green. Come se non bastasse, con gli acquisti online è facile sbagliare taglia, cosa che comporta degli ulteriori viaggi inquinanti per il reso o per il cambio della merce.

La crisi a causa della pandemia

È fin dal 2002 che Primark ha dimostrato di essere leader nel campo della sostenibilità: è stata tra le prime aziende fashion ad aver investito nel cotone sostenibile al posto delle fibre sintetiche per i suoi abiti e ad aver introdotto i sacchetti di carta al posto di quelli di plastica. Così come la maggior parte dei brand fashion, a causa della pandemia e delle chiusure imposte dal lockdown sta però vivendo un momento di crisi, Quello che ci si chiede, dunque, è: per quanto ancora i profitti in rosso non influiranno su questa polita green? Il fast fashion e la "cultura dello spreco" che ne consegue riusciranno a sopravvivere solo con gli store fisici? Per il momento, almeno stando a giudicare dalle quotidiane file chilometriche, la fedeltà dei clienti sembra non deludere le aspettative.

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