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Opinioni

La pubblicità Tezenis che invita allo smartworking con canotta e pantaloncino è davvero un insulto?

In queste ore, tra promesse di boicottaggi e post polemici, il noto marchio di intimo e abbigliamento Tezenis è stato bombardato sui social da commenti sdegnati. Il motivo è l’immagine, e lo slogan, scelti per la nuova pubblicità: una modella che finge di fare smartworking in pantaloncini e canotta. Chi ha difficoltà nel conciliare la routine persino per lavarsi i denti al mattino ha storto il naso, accusando l’azienda di rappresentare uno stereotipo. Ma è questa la realtà oppure, stavolta, stiamo un po’ esagerando non riuscendo a guardare altro che noi stesse?
A cura di Giulia Torlone
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La premessa è d’obbligo: oggi ho tolto il pigiama. Sì, faccio questo ingresso poco consueto per fare un legittimo coming out che (ed è altrettanto legittimo) non importerà a nessuno. Ma è la chiave per dire pubblicamente che sì, io faccio parte di quella fetta di donne che fa smartworking restando comodamente in pigiama, largo da sprofondarci dentro, o quando va bene passa al livello successivo: la tuta da ginnastica. Lo dichiaro perché nella discussione che sta passando da un social all’altro in queste ore, già sono chiare le due tifoserie: chi lavora in pigiama sbracato e chi ha quella meravigliosa consapevolezza e amor proprio che fa sì che nonostante nessuno sia lì a guardarti, ci si vesta lo stesso. E ci si stenda in viso pure un filo di trucco.

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Un micro pigiama da smartworking

Ma veniamo alla polemica: tutto è nato dalla nuova campagna pubblicitaria del noto marchio di intimo e abbigliamento da notte, Tezenis, che ha deciso di utilizzare una modella in un pigiama succinto, canotta e pantaloncino, di simil seta bianco. La ragazza è seduta sul letto, con una gamba allungata e davanti a sé ha il suo pc. Lo slogan scelto dall’azienda è: “Smart working mood”. Il mio primo pensiero alla vista della pubblicità, lo confesso, è stato: “Ma magari!”, ma poi ho iniziato a leggere lo sdegno sui post di Facebook e ho cercato di inquadrare il problema. Dalle parole che rimbalzano qui è là, è chiaro che la campagna non ha avuto l’intento che, immaginiamo, volesse avere, cioè quello di rappresentare la cura di sé anche se costrette in casa. Che abbia fallito è chiaro dal fatto che, poco dopo, lo slogan che accompagnava l’immagine è stato cambiando in un generico “Movie-Time mood”. La pezza è peggio del buco? Si sono salvati in corner? Ai posteri l’ardua sentenza. Le polemiche al primo post Tezenis giravano intorno alla mancata rappresentazione della realtà: molte donne si sono sentite completamente fuori fuoco rispetto a quell’immagine, abituate ai salti mortali che compiono ogni giorno per conciliare lavoro, figli, cura di sé. Tante sono state quelle che l’hanno presa come un affronto, un modo indiretto per, ancora una volta, far passare un solo modello di donna che spesso sta a significare "bella, elegante, mai fuori posto". Credo che sia inutile ribadire che la realtà sia piuttosto diversa da quella rappresentata da Tezenis, soprattutto in un momento di precarietà e stress psicologico come questo, dove far quadrare tutto all’interno di una giornata appare un’impresa da Wonder Woman. Nonostante questo, però, mi chiedo: è davvero offensiva la campagna di Tezenis? È l’ennesima trovata pubblicitaria che mette in bella mostra una donna mezza nuda con un approccio sessualizzante?

È davvero il caso, stavolta, di gridare allo scandalo?

Posto che la comunicazione visiva è fatta per essere letta con occhi e strumenti differenti, ognuno legittimo, io credo che l’errore di Tezenis non stia nella sessualizzazione del corpo femminile, perché io di malizia non ne ho vista. Anche in questo caso, come succede spesso, trovo che l’errore stia nell’opportunità e nella giusta misura. Noi, dall’alto dei nostri pigiamoni di pile e calzini di spugna, facciamo fatica a immaginare tutte quelle donne che riescono ad avere cura di sé in questo periodo, nonostante la solitudine. Eppure quelle donne esistono, fidatevi di me. E se è lecita la posizione della squadra pigiama di flanella, lo è anche quella del pigiama di seta. Facciamocene una ragione. Si può discutere sicuramente sul fatto che sia improbabile girare in casa con una canottiera a metà gennaio, che lavorare in quella posizione sia da sciatalgia imminente, ma gridare allo scandalo stavolta appare un po’ grottesco. Tante sono le ragazze che promettono di non comprare mai più nulla del marchio e se si sono sentite offese è giusto rispettare un sentimento, perché dimostra che qualcuno non si stia sentendo a proprio agio davanti a un’immagine. Quello che però vale la pena ricordare è che si tratta di commercio, di affari, di mera pubblicità. E se più volte abbiamo denunciato una comunicazione misogina o stereotipata, ai limiti dell’insulto, credo che stavolta valga la pena solo dire “ok, non sarò mai io quella con quei fantastici pantaloncini bianchi, perché il pigiama di lana non lo mollo” e augurare a Tezenis di far sedere più comoda la modella, magari anche con una vestaglia che a gennaio fa freddo.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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