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Opinioni

La colpa di Aurora dei The Jackal? Aver sfidato la confraternita del pallone col suo essere donna

Una donna in campo? No, sta sugli spalti. È questa la tesi con cui il direttore generale della Nazionale Cantanti ha escluso Aurora Leone dalla partita di beneficienza a cui era stata invitata come giocatrice. L’ennesimo esempio, stavolta mainstream, che non bisogna mai violare il sacro circolo del calcio maschile italiano, la venerata confraternita del pallone dove le donne o accompagnano il proprio compagno o altrimenti la loro presenza è immotivata.
A cura di Giulia Torlone
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Ti devi alzare perché le donne non possono stare al tavolo delle squadre”. Peccato, però, che lei di una di quelle squadre facesse parte. È quanto si è sentita dire Aurora Leone, volto dei The Jackal, che ieri sera ha preso parte alla cena alla vigilia della Partita del Cuore organizzata al J Hotel, nei pressi dell’Allianz Stadium. L’organizzatore in persona, il direttore generale della Nazionale Italiana Cantanti Gianluca Pecchini, si è avvicinato al tavolo dove sedeva Aurora e l’ha invitata a sedersi in un posto diverso, quello per sole donne. Inutile spiegare che lei avesse ricevuto la convocazione, che non stava accompagnando Ciro (anche lui invitato a giocare), per Pecchini “le donne non giocano a calcio”. Le regole, secondo quanto sostenuto, sono queste e non si ammettono repliche.

L'inaccesibile calcio, mondo solo per uomini

Bentornati al Medioevo, si potrebbe pensare. Ma questa accusa di ritorno al passato, oltre a essere una formula abusata, rischia di essere fuorviante. Perché nel mondo del calcio al maschile, la presenza di una donna continua ad essere un elemento disturbante, un’appropriazione indebita di qualcosa che è ad appannaggio esclusivo dell’universo maschile. Le battaglie verso l’emancipazione degli ultimi anni, le lotte, i passi avanti sulla parità di genere non tengono conto del terreno sacro agli uomini: quello del pallone. Finché le donne hanno una loro squadra, organizzano scontri tra di loro, è tollerato e concesso (anche se sottopagato e sotto rappresentato, ma questa è un'altra storia). Giocare insieme, però, donne e uomini su uno stesso campo a tirare calci allo stesso pallone, deve essere insopportabile per qualcuno. In questo caso specifico lo è stato per Pecchini, che non ha esitato a cacciare Aurora dal tavolo dov’era seduta.

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Il cliché della donna che fa il tifo in tribuna

Le donne stanno sugli spalti: borsetta sulle ginocchia, occhiale da sole, a fare il tifo per il fidanzato in campo. Questa è la rappresentazione femminile nell’universo calcistico. A rendere tutto ancora più grottesco è che, in questo caso, si sta parlando di una partita di beneficenza tra Nazionale Cantanti e Campioni della Ricerca. L’intolleranza e la misoginia dovrebbero fare ancora più scandalo, dati i buoni propositi sociali su cui si fonda l’evento. Eppure è evidente che Pecchini non è di questo avviso, lasciandosi andare anche a frasi spiacevoli: “Il completino (la divisa che è stata data ad Aurora per giocare, ndr) te lo puoi mettere pure in tribuna. Le donne non giocano”. La colpa di Aurora, in sostanza, è quello di aver violato il sacro circolo del calcio maschile italiano. La venerata confraternita del pallone dove le donne o accompagnano il proprio compagno o altrimenti la loro presenza è immotivata. E viene da pensare che di fronte a questo non ci sia scopo benefico che tenga, data l’assoluta irremovibilità dell’organizzatore di fronte alle legittime spiegazioni di Aurora. Aspettiamo un deciso e corale passo avanti dei compagni di squadra, che di fronte alla scena di ieri sera non possono rimanere in silenzio a guardare. Un po' come ha fatto Fedez, che a riguardo ha commentato: "Aurora Leone, con te. Sconcertante che un evento benefico si trasformi nella sagra del machismo. Onestamente fa specie il silenzio dei partecipanti all'iniziativa che hanno assistito alla scena. Ciro Priello organizziamoci noi una partitella di basket benefica, quando volete". Perché, se c'è una cosa che abbiamo imparato, è che finché gli uomini permetteranno tanta tracotanza, la strada sarà sempre percorsa a metà.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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