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Opinioni

Khalida Popal, la lotta di una donna afghana ha la forma di un pallone da calcio

Nata a Kabul, sin da bambina è costretta a giocare a pallone con le sue amiche nascosta. Il regime talebano vietava alle donne qualsiasi sport o di assistere a qualsivoglia evento sportivo. Nonostante questo, nel 2007 fonda la prima nazionale di calcio femminile afghana e diventa un simbolo per migliaia di donne.
A cura di Giulia Torlone
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Le nostre donne, quelle che ci accompagneranno fino all’8 marzo, hanno un nome in più oggi. Nel progetto L8ttatrici, pensato per dare voci alle grandi donne del nostro tempo, oggi si aggiunge un’altra voce. Dopo Nadia Murad, Danica Roem, Gulalai Ismail e Minerva Velanzuela, il volto di oggi viene dall'Afghanistan. Kalida Popal è nata a Kabul e fin da bambina il suo sogno aveva la forma di un pallone. Vedeva i suoi coetanei maschi giocare a calcio nei cortili, nei campi, nelle piazze, ma sapeva bene che a lei fosse assolutamente proibito.

Il sogno di giocare a calcio nel Paese della Sharia

Quando Khalida era piccola, il suo Paese era in mano ai Talebani, che avevano approfittato della debole e frammentata Repubblica Islamica per istituire la più dura Sharia che il Paese avesse mai conosciuto prima. Secondo il regime talebano, una donna è una semplice appendice di un uomo. Non può uscire per strada se non accompagnata dal marito, dal padre, dal fratello. Non lavora, non alza lo sguardo verso un uomo che non sia di sua conoscenza. Figuriamoci, quindi, se una donna potesse mai giocare a calcio, le era vietato persino assistere a un evento sportivo. Khalida però non è la sola ad avere questa passione sportiva, anche molte delle sue compagne di scuola condividano il suo amore per il calcio. Dopo le lezioni, lei e le sue amiche andavano a tirare calci al pallone, a improvvisare delle partite lontano dagli occhi indiscreti, soprattutto maschili, nascondendosi in campi lontani e abbandonati. Nonostante il divieto, sempre più ragazze hanno iniziato a seguire Khalida in questa pericolosa avventura.

La nazionale femminile afghana, un sogno fragile

Quando, nel 2001 il regime dei talebani è caduto formalmente, Khalida ha sperato che le cose potessero cambiare. Lei e le altre ragazze hanno iniziato finalmente a giocare a pallone senza doversi più nascondere e ha addirittura fondato nel 2007 la prima nazionale femminile di calcio dell’Afghanistan. Non è passato troppo tempo, però, prima che Khalida non si accorga che un regime può anche cadere, ma l’estremismo religioso troppo spesso si radica saldamente in un popolo. E così Khalida si ritrova ad essere insultata costantemente, perché per alcuni suoi concittadini uomini se giochi a calcio “sei una prostituta”, viene minacciata di morte. Così gli allenamenti della Nazionale devono farsi in un campo della base NATO, per la sicurezza delle giocatrici. Questo però non basta.

Giocare a calcio in Afghanistan vuol dire rischiare la vita

Le minacce di morte si fanno costanti e Khalida è costretta a lasciare il suo Paese. Prima raggiunge l’India, ma ha problemi con il visto. Così decide di raggiungere l’Europa, la Danimarca. Qui vive in un campo per rifugiati e inizia a giocare con una squadra locale. Ben presto però è costretta a rinunciare per un grave infurtunio al ginocchio che oltre al danno fisica, le provoca un enorme depressione. Ma Khalida resiste a tutto questo e fonda la Girl Power Association, con cui si impegna a spronare le giovani rifugiate a dedicarsi allo sport come mezzo per impadronirsi della propria vita. Lavora con le comunità LGBT, con le minoranze etniche. La storia di Khalida Popal potrebbe essere quella di una moderna eroina. CI piace però pensare che i super poteri non servono, che per essere così caparbi, per rialzarsi dalla polvere serve un eccesso di umanità, non il suo contrario. Per questo Khalida Popal è una donna meravigliosa.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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