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Il passo indietro della Turchia: lascia la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne

Nel 2012 la Turchia era stato il primo Paese a ratificare il documento che difende le donne dagli abusi domestici e dalle mutilazioni genitali. La convenzione è entrata in vigore nel 2014, ma secondo gli attivisti è rimasta lettera morta. La parte più conservatrice del governo la considerava una “minaccia” per l’unità familiare e una pericolosa apertura alla comunità Lgbtq+
A cura di Beatrice Manca
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Una manifestazione femminista ad Ankara nel 2019
Una manifestazione femminista ad Ankara nel 2019

La Turchia ha lasciato la Convenzione di Istanbul, il trattato nato nel 2011 per prevenire e combattere la violenza contro le donne. Far parte della Convenzione significa impegnarsi ad adottare leggi che contrastano apertamente la violenza sulle donne, gli abusi domestici e le mutilazioni genitali femminili. Secondo la parte più conservatrice del governo però questi provvedimenti sarebbero un attacco ai valori tradizionali: "minano" l'unità familiare e incoraggiano il divorzio. In più, i riferimenti all'uguaglianza contenuti nel testo darebbero spazio alla comunità Lgbtq+, aprendo la strada all'inclusione delle coppie omosessuali. Quindi, un decreto presidenziale conferma l'abbandono della Convenzione: il clamoroso passo indietro in materia di diritti ha suscitato le critiche dei principali partiti dell'opposizione e dei movimenti femministi.

Cos'è la Convezione di Istanbul

La Convezione di Instanbul è un trattato voluto dagli stati membri del Consiglio d'Europa per difendere le donne dagli episodi di violenza, dalle mutilazioni genitali e dagli stupri coniugali (ancora oggi molto diffusi in Turchia, denunciano le attiviste). Nel 2012 la Turchia era stato il primo paese a ratificare il documento, col sostegno dall'AKP, guidata dall'attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan. La convenzione è poi entrata in vigore nel 2014, ma secondo attivisti e movimenti femministi era rimasta lettera morta. Il ministro per la famiglia Zehra Zumrut Selcuk ha dichiarato che i diritti delle donne sono comunque già garantiti nella legislazione turca, da cui la revoca della Convezione. Subito si è accesa la protesta in rete, attraverso l'hashtag #istanbulconventionsaveslives ("La Convezione di Instabul salva vite"): lo scopo ora è portare la questione davanti alla Corte Costituzionale del Paese.

La protesta delle donne ad Instabul per difendere la Convenzione nell'agosto del 2020
La protesta delle donne ad Instabul per difendere la Convenzione nell'agosto del 2020

La piaga dei femminicidi in Turchia

Secondo l'agenzia Reuters, la Turchia non conserva le statistiche ufficiali sul femminicidio. Alcuni dati vengono forniti  da gruppi come la piattaforma "We Will Stop Femicide", che raccoglie i casi a livello nazionale. Solo nel 2020 in Turchia si sono contati circa 300 femminicidi, mentre nel 2019 erano stati 474: un numero più che raddoppiato dal 2012, quando Ankara ha ratificato la Convenzione. Senza considerare la piaga della violenza domestica – spesso consumata in silenzio – e aggravata dal lockdown. Nella sola Istanbul, dicono i dati della piattaforma, nel mese di marzo 2020 le denunce di violenza domestica sono aumentate del 38%: 2.493 contro i 1.804 casi del marzo del 2019. Un'altra questione che Ankara deve affrontare è quella delle spose bambine. I matrimoni precoci sono vietati per legge, ma ancora diffusi e difficilissimi da censire correttamente: un report dello stesso governo turco parlava di 482.908 spose bambine in dieci anni. Secondo gli attivisti non mancano le leggi, ma la loro corretta applicazione: in una società profondamente patriarcale la donna è vista ancora come proprietà degli uomini che la circondano. E perfino una Convenzione internazionale appare superflua.

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