La legge sul divorzio compie mezzo secolo. Esattamente cinquant’anni fa, il 1° dicembre 1970, l’Italia inaugurava quella stagione di riforme che avrebbe cambiato il volto del nostro Paese in tema di diritti sociali e civili. L’iter non fu semplice, la seduta parlamentare che portò all’approvazione della legge durò 18 ore e negli anni successivi si provò più volte a metterci le mani, ad esempio quattro anni dopo con un referendum abrogativo voluto dalla Democrazia Cristiana. Ma il diritto al divorzio è una battaglia delle donne. Se all’interno del Parlamento a cantar vittoria sono stati il Partito Socialista e quello Liberale, che riuscirono a compattare la sinistra, nelle piazze i protagonisti furono i radicali e quei gruppi di femministe che rivendicavano pari dignità rispetto all’uomo. E questa fu la prima di numerose battaglie del decennio che videro le donne prendersi i propri spazi, sia fisici che all’interno della società. A rendere la grandezza di quel passo, ci sono le parole di Nilde Iotti che in un discorso alla Camera restituisce il significato della riforma:
Nel passato la famiglia ha costituito essenzialmente un momento di aggregazione della società umana, basato su motivi molto diversi, l’accasamento particolarmente per le donne, la procreazione dei figli, la trasmissione del patrimonio. Questi erano i motivi fondamentali che portavano alla costituzione della famiglia; la famiglia, cioè, ha risposto, in qualche modo, alla ricerca di collocazione sociale degli individui. A noi pare che ciò che nel mondo moderno spinge le persone al matrimonio ed alla formazione della famiglia, ciò che rende morale nella coscienza popolare la formazione della famiglia, sia in primo luogo l’esistenza di sentimenti. Questa, io credo, è oggi la base morale del matrimonio. Vedete, onorevoli colleghi: per quanto siano forti i sentimenti che uniscono un uomo e una donna, essi possono anche mutare; e quando non esistono più i sentimenti, non esiste neppure più, per le ragioni prima illustrate, il fondamento morale su cui si basa la vita familiare. Abbiamo dunque bisogno di ammettere la possibilità della separazione e dello scioglimento del matrimonio.
Una battaglia che ha sfidato i pregiudizi
Nilde Iotti, prima donna presidente della Camera dei deputati, in questo passaggio del suo discorso apre alla riflessione, che vale ancora oggi. Per quanto tempo il matrimonio è stato l’habitat esclusivo di una donna? Una dimensione in cui la famiglia doveva essere a suo appannaggio esclusivo? E quante altre volte ancora una donna subiva vessazioni, violenze, senza poter uscire da una situazione di costrizione? Ecco, il divorzio è stato il primo passo verso l’autodeterminazione femminile. Voleva dire potersi ricostruire, decidere per sé e per la propria vita fuori dalle mura domestiche. Significava dare un nuovo senso al concetto di famiglia e di legame indissolubile. La legge sul divorzio ha dimostrato che non esistono legami che per legge non possono essere sciolti, ma solo per una libera scelta e consapevole. Le donne sono state le protagoniste di questa battaglia perché l’ambito familiare era il recinto in cui venivano rinchiuse, e quindi era il primo da scardinare. Le donne, nel 1970, hanno superato e travalicato le trasversali appartenenze politiche, facendo prevalere i principi dell’emancipazione. Un’emancipazione “a tutti i costi”, perché il divorzio a quell’epoca di certo non era rose e fiori: voleva dire andare incontro al pregiudizio, alla precarietà economica e lavorativa, a una lotta per la tutela dei figli senza esclusione di colpi. Eppure non hanno fatto un passo indietro, mostrando un cambio di mentalità ormai inarrestabile. Noi, ancora oggi, camminiamo sulle spalle di queste donne coraggiose.