Alda Merini, una madre privata delle figlie: colpa del pregiudizio sulla malattia mentale
Novant'anni fa, nel primo giorno di primavera, nasceva Alda Merini. La "poetessa dei Navigli", come è stata chiamata, ha saputo trasformare "le ombre della sua mente" e i fantasmi della malattia mentale in versi struggenti e pieni di vita. Ma soffrire di un disturbo bipolare a metà del secolo scorso significava vivere con lo stigma sociale di essere "pazza", emarginata e incompresa. Nemmeno chi le era più vicino, la sua famiglia, aveva gli strumenti per capire: così Alda Merini si trovò a subire i trattamenti disumani che le venivano inflitti nei manicomi e perse le quattro figlie, cresciute da altre famiglie. "Non so neppure come ho trovato il tempo per farle – scrisse Alda Merini nella sua biografia – A loro raccomando sempre di non dire che sono figlie della poetessa Alda Merini. Quella pazza. Rispondono che io sono la loro mamma e basta, che non si vergognano di me. Mi commuovono". Oggi sono loro a portare avanti il ricordo della madre, curando il sito web che raccoglie vita e opere della poetessa.
La poesia come rifugio dal dolore
Nata a Milano nel 1931, Alda Merini descriveva se stessa bambina come una ragazza sensibile e malinconica, amante dello studio. Mentre il padre la incoraggiava e la sosteneva, la madre al contrario era una donna pratica e severa che non capiva il suo malessere interiore. Come quando la piccola Alda annunciò di volersi fare monaca e iniziò a passare tutto il suo tempo in Chiesa: la madre pensò di risolvere i suoi "capricci" a suon di percosse. Il suo talento si manifestò presto: già a quindici anni Alda Merini scriveva poesie, ricevendo l'apprezzamento di letterati come Angelo Romanò e Giacinto Spagnoletti. Ma altrettanto presto si manifestarono i disturbi mentali: nel 1947 venne internata per un mese nella clinica Villa Turro a Milano, dove le viene diagnosticato un disturbo bipolare. Una condizione che la portò a entrare e uscire dai manicomi e a vivere lo stigma profondo della società: per tutti era solo "la pazza". Erano i tempi dell'elettroshock e della disumanizzazione dei pazienti psichiatrici: la legge Basaglia avrebbe cambiato tutto, ma era ancora lontana. Nella sua vita Alda Merini riuscì a intrecciare dolore e arte: la poesia non nasceva dalla malattia mentale, ma era il posto sicuro in cui rifugiarsi.
Le quattro figlie che non ha cresciuto
Alda Merini ebbe due matrimoni: il 9 agosto 1953 sposò Ettore Carniti, panettiere e sindacalista. Alda lo amava profondamente, ma lui era incapace di capirla. Non capiva la poesia, non capiva il suo dolore, non capiva gli attacchi di disperazione che la sconvolgevano. Non sapendo cosa fare, una sera, chiamò l'ambulanza: Alda finì in manicomio e ci rimase quasi dieci anni, con brevi ritorni a casa. Dal matrimonio nacquero quattro figlie: Emanuela, Flavia, Barbara e Simona. Ma tutte, prima o dopo, furono portate via da lei e affidate ad altre famiglie. Madre, moglie, letterata e poetessa, Alda Merini veniva ridotta semplicemente a "pazza" per via della sua malattia. Quindi era considerata incapace di crescere le sue figlie. Con la giusta assistenza e i giusti farmaci avrebbe potuto controllare il suo disturbo, ma la cultura scientifica sul tema era ancora molto indietro. A questo si aggiungeva lo stigma sociale, di cui Alda era perfettamente consapevole, tanto che suggeriva lei stessa alle bambine di non dire di essere figlie della Merini. Bambine che amava, e da cui era amata a sua volta, ma che diventarono figlie di altre famiglie.
L'amore per Pierri, trent'anni più grande di lei
Nel 1983 morì Ettore, il primo marito: oltre al lutto, Alda doveva affrontare numerose difficoltà finanziarie. In quel periodo si intensificò il legame con Michele Pierri, medico e poeta che apprezzava enormemente il suo lavoro: nonostante fossero separati da trent'anni e da centinaia di chilometri, vissero una grande storia d'amore fatta di lunghissime telefonate, lettere e poesie. Nel 1984 i due si sposarono: lei aveva 53 anni, lui 85. A quel punto Alda si trasferì a Taranto: un periodo felice e proficuo per il suo lavoro. Ma l'idillio durò poco: alla morte di lui la Merini fu nuovamente ricoverata in ospedale. Fino alla fine nella vita di Alda Merini si sono alternati periodi di salute e di malattia, dentro e fuori gli ospedali, dove ha conosciuto abusi e torture di ogni tipo. I suoi versi raccontano le sue esperienze dolorose, ma anche gli sprazzi di felicità conosciuti tra il matrimonio, la maternità, le amicizie illustri. Dedicò una poesia perfino al pediatra che si occupava delle sue bambine. L'arte, per una donna fragile e magnifica come lei, è stata la chiave per resistere all'inferno. Come scrisse lei stessa: "La poesia è stato un piano superiore in cui sono andata ad abitare nei momenti di disperazione".