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Instagram censura la foto del ciclo, lei si ribella e spiega il suo gesto

La foto di Rupi Kaur sta facendo il giro del web. Si mostra stesa sul letto con il pantalone sporco di sangue mestruale, ma Instagram ha deciso di censurare quello scatto. La ragazza però si è ribellata. Non accetta che immagini più violente siano tollerate e che quella in cui si mostra una cosa naturale come le mestruazioni sia invece considerata “sporca”.
A cura di Valeria Paglionico
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Rupi Kaur è una ragazza di 22 anni che ha dato scandalo per una foto pubblicata su Instagram, in cui si mostra distesa sul letto, di spalle, con una macchia di sangue mestruale sul pantalone del pigiama. Il social network ha ricevuto così tante segnalazioni che definivano quell’immagine scandalosa ed orribile, che si è visto costretto a censurarla.

Rupi Kaur però ci ha riprovato, ha pubblicato di nuovo la foto, ma ancora una volta è stata rimossa poiché “non conforme alle linee guida”. La ragazza è una poetessa indiana di religione Sikh, studia presso l'Università di Waterloo in Canada e non si è data per vinta di fronte alla decisione per lei troppo eccessiva di Instagram. Ha infatti cominciato a scrivere sul suo profilo Facebook:

Umiliazioni, minorenni nude, torture, bondage, donne trattate come oggetti: sembra che tutte queste cose vadano bene e siano accettate. Quando si tratta di mestruazioni invece no. Scatta la censura. Ma io sanguino ogni mese, dal mio grembo può nascere la vita. Avere le mestruazioni non significa essere sporca, non deve offendere nessuno, è naturale come respirare.

Il post è stato condiviso ben 16mila volte. Instagram, a questo punto, si è scusato pubblicamente con la ragazza ed ha ripubblicato la foto, sostenendo di aver commesso un grave errore. L’immagine in realtà faceva parte di un progetto fotografico preparato per il corso di retorica visiva frequentato dalla ragazza. Al di là delle possibili polemiche, migliaia di uomini e donne ritengono più offensivo il sangue mestruale piuttosto che delle foto ben più violente ed ambigue. Sarà forse perché siamo assuefati da nudità, umiliazioni e torture?

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