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Ho vissuto una settimana senza Facebook ed ecco cosa mi è successo

I social network fanno parte della nostro vita quotidiana, alcuni più di altri. Ma ecco cosa succede se, in una realtà sempre connessa come quella in cui viviamo, scegliamo di rinunciare a Facebook.
A cura di Zeina Ayache
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Nella frenesia della vita quotidiana spesso si perde di vista il senso dell'importanza, quanto cioè una cosa o una persona siano più o meno rilevanti rispetto ad altre. Capita così di accorgersi con fatica degli individui che incrociamo per strada o, peggio ancora, di dimenticarci dei nostri desideri e di ciò che sa davvero farci felici. Rinunciare a piccoli aspetti della routine può aiutarci a rientrare in contatto con noi stessi, si tratta di spostare il piano dell'equilibrio quel tanto da darci l'opportunità di muoverci per rifermarci in un nuovo punto, spesso più soddisfacente. Dopo aver vissuto una settimana senza sorrisi, senza dire grazie, senza reggiseno o senza soldi, adesso ho scelto di mettere da parte un elemento che è diventato sin troppo influente nel nostro quotidiano: Facebook. Ho scelto così di non utilizzare per sette giorni il social network più amato dagli italiani ed ecco cosa mi è successo.

Giorno 1

Via Facebook e Messenger dal telefono. È inutile, senza la disinstallazione di queste applicazioni dallo smartphone, riuscire a non guardarle sarebbe stato troppo complicato, e così via nel cestino. Logout dal computer e che la settimana abbia inizio. Mi accorgo subito di avere un comportamento compulsivo verso il telefono: lo prendo, lo sblocco e cerco l'app per controllare le notifiche o le notizie. Proprio come per un fumatore abituato più al gesto che alla sostanza, anche Facebook è diventato un vizio entrato tra le mie stereotipie.

Giorno 2

Non poter condividere i miei articoli è un vero peso, in qualità di giornalista online Facebook rappresenta infatti una vera fonte di contatti. Ho voglia di discutere con gli amici in merito ai pezzi pubblicati, soprattutto quando si tratta di questioni animaliste alle quali mi sento particolarmente legata.

Giorno 3

Incontro a lavoro un amico e collega che mi dice “Ti ho scritto per un'offerta di lavoro per il fine settimana, ma non mi hai risposto”. “Ma perché non mi hai chiamata?”, questa è la domanda che mi è sorta spontanea. Secondo lui l'offerta non era sufficientemente interessante da meritare una telefonata, lo ringrazio comunque per il pensiero, ma a questo punto mi chiedo quante persone mi stiano scrivendo e stiano aspettando una mia risposta dai social senza contattarmi direttamente sul telefono che, diciamocelo, sarebbe più semplice.

Giorno 4

Ormai il gesto compulsivo di prendere il telefono in mano non c'è più, ma resta il pensiero fisso del “uh ora faccio questa foto e la pubblico” o “questa cosa la devo scrivere su Facebook”. È inquietante vero? Non posso negare che mi vergogno un po' di me stessa per questa smania da social. Le domande degli amici “ma come fai una settimana senza Facebook? Io non riuscirei” mi fanno riflettere: può essere davvero che non possiamo fare a meno di una cosa che fino a qualche anno fa manco esisteva?

Giorno 5

Studi scientifici hanno dimostrato che l'assenza di Facebook migliora l'umore. Ecco, se avessi partecipato alla ricerca probabilmente io avrei confermato la tesi. Non vedere più i vari annunci di animali abbandonati, picchiati, abusati che mi fanno ricordare quanto l'essere umano sia ormai deviato, mi toglie un grande peso. Il classico “occhio non vede, cuore non duole” è più che adeguato in questo momento. Forse è ipocrita, ma una pausa da tanta sofferenza ogni tanto ci vuole.

Giorno 6

“Che fine hai fatto?” chiede un amico. “In che senso?” chiedo io. “Non ti si è più vista” mi dice. “Dove? Abbiamo organizzato una cena e non sapevo nulla?” richiedo. “No, no” mi rassicura. “E allora in che senso?” non capisco. “Boh sui social, non ti si è più vista”. Dunque è vero, se non sei sui social non esisti?

Giorno 7

L'attentato di Nizza è l'evento che chiude la mia settimana senza social network e io, lo ammetto, ho già l'ansia ad aprire domani la mia bacheca perché so che dovrò leggere i classici commenti ignoranti, populisti, fintoidealisti e xenofobi sulle teorie legate alle motivazioni, al passato e alla religione dell'attentatore. Per non parlare degli svariati post di appassionati delle ruspe dell'ultima ora, quelli del “rimandiamoli a casa loro” o del “facciamo entrare solo le donne ed insegniamo loro ad essere occidentali”. Vorrei tanto essere solo prevenuta, invece scattata la fine del settimo giorno, installo Facebook e Messenger, accedo e le mie peggiori aspettative non vengono smentite.

Una settimana senza Facebook è possibile? Deve essere possibile. E dovremmo provarci tutti. È piacevole condividere i propri momenti migliori e peggiori vissuti nella vita reale con chi desideriamo ed è positivo poter dire apertamente ciò che si pensa, anche se a volte vorrei tanto togliere il diritto di parola (almeno online) a chi scrive per il gusto di allenare le dita e non il cervello. Il bello di Facebook è proprio questo: una piazza aperta sul mondo a cui tutti possono accedere e in cui tutti sono liberi di esprimersi. La sensazione che ho avuto questa settimana però, osservando quanto tempo passassero le persone intorno a me sullo schermo del telefono, è che ci siano persone che si sono perse la borderline tra vita vera e quella sui social network, tra chi si sconvolge per un like messo ad una foto, considerato come un'aperta dichiarazione d'amore, di interesse o di tradimento, e chi modifica una propria fotografia fino ad eliminare completamente i contorni del volto pur di apparire più attraente, dimenticandosi che prima o poi l'incontro dal vivo deve pure avvenire. Facebook mi diverte e non voglio rinunciarci, però accorgersi di essere confusi su quale dovrebbe essere il suo utilizzo o valore è fondamentale per evitare di ritrovarsi a pensare che chi siamo dipende dal numero di like che riceviamo.

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